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La Via Crucis raccontata attraverso la fotografia: intervista a David LaChapelle
Mostre
di Giorgia Gibertini e Federica Scandella
Numerose nei secoli sono state le rappresentazioni della Via Crucis, analizzata nel complesso delle sue stazioni, oppure operando un primo piano su un singolo frame, per usare una terminologia più legata al mondo del cinema. Cristo recante il peso della croce, Cristo in croce e la Deposizione, sono alcuni dei momenti fondamentali di questa narrazione, che costellano dipinti e affreschi ospitati da chiese e musei di tutto il mondo. I pennelli di Raffaello, Pontormo, Rosso Fiorentino, Tiziano, Tiepolo o ancora del più recente Botero, sono solo alcuni dei tanti che incontrando la tela, hanno affidato all’eternità questa figurazione.
Ricreato in formelle, quadri, sculture, bassorilievi, questo soggetto viene ora catturato e orchestrato dal medium fotografico, grazie alla nuova serie di David LaChapelle. Stations of the cross è infatti il titolo dell’ultima fatica del fotografo statunitense – già in Italia per ricevere il premio “Lorenzo il Magnifico” alla carriera nell’ambito della XIV Florence Biennale – presentata alla Galleria Deodato Arte di Roma il 27 ottobre. Le quindici stazioni si dispiegano nello spazio dove il cammino del visitatore si accompagna a quello di un Cristo dal volto noto. Nei panni di un atletico Gesù, coronato da un’aureola evanescente, troviamo infatti l’artista e attore italiano Tedua, con cui il fotografo aveva già lavorato, firmando la cover degli album Purgatorio e Inferno.
Riconoscibile come sempre è la cifra stilistica di LaChapelle, che adatta un argomento biblico alla sua personale visione e al mondo contemporaneo. Derivato da uno studio approfondito, che guarda all’epoca medievale sino a quella postmoderna, il ciclo, organizzato per inquadrature, si rivela come un apparato scenico dalla forte teatralità. Senza tradire la sacralità della rappresentazione, il regista dispone la narrazione, ricoprendo di un velo pop, surreale, dai colori saturi, un soggetto ormai sepolto dalla polvere del suo tempo, rendendolo più fruibile per una nuova generazione. Cinematografica, pittorica e scultorea allo stesso tempo, l’opera nel suo complesso strizza l’occhio a un barocco moderno, lussureggiante e patinato.
La galleria romana, oltre alla nuova serie, ripropone lavori precedenti, tra cui Earth Laughs in Flowers, la serie ispirata alle vanitas olandesi realizzata tra il 2008 e il 2011. Sintomatico risulta il cambio di registro avvenuto al cospetto della Cappella Sistina nel 2006, che a detta dell’artista stesso, ha innescato un rinnovamento nella sua carriera, alla pari di quello di Michelangelo dopo averla dipinta. Il legame di LaChapelle con l’Italia e la sua capitale sembra essere dunque intimo, tanto che probabilmente lo si vedrà più spesso camminare tra le strade di Roma.
Come sei arrivato a concepire la tua cifra stilistica che ti distingue in tutto il mondo?
Non mi sono mai concentrato sullo stile. Ho solo pensato a ciò che volevo vedere e a ciò che mi attraeva e mi sono mosso in quella direzione.
È noto che per le tue fotografie non fai uso di Photoshop, nonostante i colori accesi e le composizioni sofisticate. Qual è il tuo punto di partenza per la creazione? L’osservazione della realtà? La costruzione di una storia?
Il concept.
Cosa significa essere un fotografo e un artista al giorno d’oggi, in un mondo in cui lo smartphone pare essere sempre di più un prolungamento del nostro braccio e tutti fotografano ogni cosa postandola sui social?
Significa dover lavorare sodo. Non si tratta di quantità, ma di qualità. Io dedico molto tempo alle mie fotografie, dall’ideazione alla realizzazione, il processo creativo dura mesi e mesi.
Perché hai deciso di lasciare la pubblicità? Che cosa ci hai guadagnato? Le tue scelte di vita hanno segnato una sorta di ricerca spirituale?
Mi entusiasmo ancora per le commissioni. Continuo a seguire tutti i tipi di lavoro, dai ritratti alle commissioni, alle “fine art”. Mantenere questo tipo di varietà rende la mia vita stimolante e i diversi mondi e tipi di lavoro si sostengono a vicenda.
Alla Galleria Deodato Arte di Roma presenti una nuova serie dal titolo Stations of the cross, puoi parlarcene?
Questa tradizione delle stazioni della Via Crucis era un mistero per me e volevo imparare a conoscerla e ad adattarla in modo contemporaneo.
Qual è il tuo rapporto con l’Italia?
È una love story come quella di Romeo e Giulietta. Non ho mai provato una sensazione simile a quella che provo per questo paese, per questa città, per Roma. Sento una familiarità qui, come una vita passata (anche se non credo nelle vite passate). Durante il mio primo viaggio a Roma, camminavo di notte e tutto mi sembrava familiare. Toccavo un muro di pietra che era in piedi da secoli e mi sembrava familiare. Mi sento più a casa qui che a “casa”.
Hai già altri progetti in serbo per il futuro?
Sto impacchettando le mie cose per trasferirmi in Italia.