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L’alterità esistenziale del corpo nelle opere di Peter Hujar e Margherita Manzelli
Mostre
Due importanti mostre concludono il 2024 e aprono il nuovo anno: Azioni e ritratti / viaggi in Italia del fotografo Peter Hujar e Le Signorine della pittrice Margherita Manzelli, entrambe visitabili fino a domenica 11 maggio 2025. Due autori dal codice linguistico differente, legato però dal rapporto tra performatività e stasi che si incontrano a metà del percorso, tra le ultime fotografie di Hujar e le prime tele di Manzelli.
La rielaborazione fotografica della realtà di Peter Hujar
Peter Hujar (New Jersey, 1934 – New York, 1987) unisce diversi linguaggi artistici tramite la fotografia. Come racconta Stefano Collicelli Cagol, co-curatore insieme a Grace Deveney, l’idea di un’esposizione dedicata a questo importante fotografo americano è sopraggiunta durante la visita della mostra tenuta dalla stessa Deveney all’Art Institute di Chicago, di cui il progetto del Pecci vuole essere l’interazione italiana. «La mostra inizia con una serie di fotografie delle catacombe di Palermo, che rappresentano una forte presenza della morte nel paesaggio sentimentale di Hujar. Abbiamo potuto, attraverso l’approfondita ricerca della curatrice, riportare l’impatto del processo di mummificazione che è molto simile a quello che fa la fotografia: preservare e raccontare in un altro modo la vita».
La riflessione di Hujar sulla fotografia ribalta la sua naturale concezione, costruendo una nuova realtà attraverso il mezzo che la dovrebbe riprodurre fedelmente. Hujar non opera una falsificazione, bensì sperimenta: l’enigmaticità dei suoi ritratti e il dietro le quinte di realtà teatrali, come le compagnie americane Theater of the Ridiculous e Cockettes, riflettono l’estetica Camp dell’artificio e della stravaganza «per neutralizzare l’indignazione morale e celebrare gli spettacoli drag negli anni Settanta». Il fotografo mostra una nuova realtà anche nelle rappresentazioni di paesaggi urbani “contro-culturali” insieme all’amico David Wojnarowicz e nel suo viaggio in Italia. Il Grand-tour si compie oltre la facciata del Bel Paese, in un’intensa ricerca sul movimento e nello studio delle fasce marginali della società, come nelle fotografie al Sanatorio per bambine e adolescenti di Firenze. Senza alcun intento antropologico, Hujar accoglie il rischio di realizzare una fotografia documentaria e lo modella con coerenza all’idea del “dietro le quinte”, mostrando il forte dislivello tra la ricchezza del patrimonio storico-artistico italiano e la povertà della popolazione.
Lo sguardo riformato dalle Signorine di Manzelli
Se Hujar rappresenta il vortice della vita e del movimento, Le Signorine di Margherita Manzelli (Ravenna, 1968) sono il simbolo della stasi corporea, mai a disagio nella propria placida e solitaria calma. Come afferma l’artista, «l’elemento principale è quello della testa. Stefano [il curatore] ha accennato al tema della testa come forma che parte dalla scultura di Brancusi, quasi ovoidale che supera se stessa e diventa una forma tridimensionale, un fulcro estremo.» Le Signorine svelano la concezione di un corpo lontano dall’immaginario erotico, creando una rappresentazione alternativa: «Sono degli oggetti erotici? Io te li devasto. Non mi offro affinché ci sia questo tipo di malinteso. Ho la presunzione di mostrare corpi nudi senza che siano oggetti erotici.» Le Signorine sono collocate in uno spazio intimo, soggetti e non oggetti dello sguardo del visitatore.
L’importanza della testa è sottolineata anche da acquerelli in cui volti femminili dagli sguardi traslucidi attraversano il percorso. L’allucinazione di questi personaggi è giustificata dalla presenza di un elemento naturale che si ripete in alcune tele: la Datura Inoxia, da cui prendono il titolo due opere (Datura, 2023 e Inoxia, 2024), è un fiore velenoso che nel medioevo era usato per provocare allucinazioni; le Signorine lo conservano su di sé, oppure lo offrono all’esterno. Nelle varie sale, si aggira, inoltre, Mercedes (2024), un robot che prende il nome dall’omonimo ambivalente personaggio del Conte di Montecristo. Mercedes interagisce con gli spettatori agganciando il loro sguardo per recitare delle poesie scritte da Manzelli. Il suo volto riprende la sfinge di Mino da Fiesole sul Duomo di Prato, uno dei tanti omaggi che l’artista ha fatto alla città. Il legame con Prato, dai pavimenti cosmateschi del Duomo ai tessuti, si ritrova anche nelle tele, come nelle ampie campiture geometriche del trittico L’infinito della mia distrazione (2024) che richiamano un tessuto in stile anni Settanta e i pavimenti della Cattedrale.
Hujar e Manzelli sono uniti dal desiderio di rappresentare un aspetto altro della realtà: l’alterità sociale di Hujar, il suo impegno per creare una fotografia lontana dall’idea canonica di rappresentazione della realtà, si unisce alla ricerca di un’alternativa alla visione del corpo femminile di Manzelli, dove l’allucinazione è accolta come invito positivo per riformare lo sguardo dello spettatore.