-
-
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
-
L’arte di oggi è il documentario di domani: la mostra alla Galleria Artra di Milano
Mostre
Che ruolo ha l’arte quando il mondo si arma? E quando naufraga? E quando un intero popolo è paragonato a merce da deportazione per costruire villaggi turistici? A Milano, alla Galleria Artra, la mostra Shaking Grounds (now and then) riunisce Armando Lulaj, Gianni Motti e Alejandro Vidal, tre artisti che nei primi anni Duemila hanno esplorato i temi del controllo, della violenza e delle crisi globali. Curata da Marco Scotini, l’esposizione è una vera e propria rilettura del presente attraverso lavori che, visti retrospettivamente, si rivelano più contemporanei che mai.
A cosa serve l’arte? Quando un prologo diventa anticipatorio? Quando “un mondo al contrario” diventa veicolo di violenza e di odio? Negli ultimi 20 anni, il mondo ha vissuto trasformazioni radicali: il collasso delle democrazie liberali; l’inasprimento delle disuguaglianze economiche; l’emergere di nuove guerre e conflitti; il rafforzamento dei nazionalismi e delle politiche repressive. Quello che all’epoca poteva sembrare un espediente artistico, oggi è geografia; ciò che sembrava storia, oggi è quotidianità.

Condotti in uno stato di emergenza permanente, che progressivamente ha sostituito lo stato di diritto, i confini si chiudono, si armano, si innalzano mura, i confini diventano solidi in un panorama fluido, globalizzato e sovrapposto. La censura si fa arte, si intensifica, diventa prodotto video, propaganda del collasso. Il Panottico si fortifica, si accende e diventa più vigile, muta in una giostra armata, dell’altrove, lontana e distaccata dalla realtà, dove statue d’oro, imbarazzanti, si piazzano su macerie, su corpi macellati, su vite cancellate. Cosa può fare l’arte quando 80 anni di resistenza, di memoria e antifascismo si sgretolano sotto tensioni geopolitiche?

La performance Blitz di Gianni Motti, documentata in mostra e realizzata nel 2003 durante la Prague Biennale, vede soldati americani irrompere nello spazio espositivo, mentre cecchini, posizionati sopra i visitatori, li osservano con fucili di precisione. L’opera denunciava, nel 2003, lo stato di eccezione dopo l’11 settembre, l’ossessione per la sicurezza e per il controllo sulle masse. Oggi, con il moltiplicarsi di conflitti e la sempre più diffusa normalizzazione della sorveglianza globale, la performance assume un carattere quasi documentaristico.

Le fotografie di Alejandro Vidal raccontano le periferie, ne esplorano la violenza urbana, facendo emergere il legame tra politiche economiche neoliberiste e i confini. L’uso della staged-photography serve a far emergere una costruzione culturale della violenza, una narrazione guidata che criminalizza alcune fasce sociali per giustificarne la repressione, una criminalizzazione della povertà, delle subculture e dei margini sia sociali che architettonici.

Armando Lulaj propone opere che riflettono sul fenomeno migratorio e sulla sua strumentalizzazione politica. Barili di petrolio con motori improvvisati evocano la crisi dei migranti nel Mediterraneo, zattere di fortuna che diventano elementi politici, dove i migranti vengono trasformati in merce di scambio.



Shaking Grounds ci obbliga a guardare in faccia un presente che non solo ripropone gli scenari ipotizzati dagli artisti 20 anni fa, ma li supera in gravità. Le guerre in Ucraina e in Palestina hanno riaperto una fase di instabilità geopolitica che sembrava appartenere al passato, riportando la logica del conflitto permanente al centro delle relazioni internazionali. Le polarizzazioni politiche, gli estremismi e i populismi sono aumentati, germinando paesaggi rotti e spezzati, guidati da un malcontento generale, un modello economico di sfruttamento insostenibile con un assopimento delle libertà e un controllo sociale destinato a collassare.
«Voi dite che è la buona causa che santifica persino la guerra? Io vi dico: è la buona guerra che santifica ogni causa». Ma se per Nietzsche essa assume l’aspetto di metafora della lotta interiore, della trasformazione del pensiero e della creazione del cambiamento, oggi di che lotta parliamo? La guerra, sia essa militare, economica o ideologica, ha inglobato la norma del nostro tempo. Il suo utilizzo non è più un’eccezione ma uno strumento costante per ridefinire, difendere il potere, per barricare confini e legittimare genocidi e armamenti di massa, altrimenti considerati inaccettabili.
Se negli anni Duemila Motti, Vidal e Lulaj denunciavano i primi segnali di questa deriva, oggi la loro arte assume un aspetto quasi da National Geographic, un qualsiasi feed Instagram, una normale cena di famiglia. Shaking Grounds è una mostra che ci costringe a riconoscere la nostra condizione attuale, il nostro posizionamento in un mondo instabile, dove i diritti acquisiti si sgretolano e la violenza diventa la norma. Shaking Grounds è una finestra su una geografia che, forse, abbiamo smesso di mettere in discussione.
La mostra sarà visitabile alla Galleria Artra fino all’1 aprile 2025.