Racconta 30 anni di produzione dell’artista Andrea Cusumano la mostra Raumdramaturgie – Drammaturgia dello spazio, al nitsch museum di Mistelbach, in Austria (fino al 20 maggio). Artista poliedrico e multitalento, performer e drammaturgo, Cusumano (Palermo, 1974) si è sempre cimentato al complesso incrocio tra le arti visive, il teatro, la danza, la musica e la poesia.
Il progetto espositivo al nitsch museum – curato da Giulia Ingrao e Fabio Cavallucci – abbraccia appieno la complessità della sua opera, innervata da una sperimentazione inquieta e instancabile e che, in linea con la tradizione del Gesamtkunstwerk, trova espressione attraverso mezzi diversi – dalla pittura astratta alle installazioni, dalla Live art alla fotografia al video, e molto ancora.
È un’arte densa di riferimenti, colta e profonda, quella di Cusumano, ed in cui si fondono cortocircuiti culturali diversi tra oriente e occidente, dall’antica Grecia ai rituali indiani del Kerala. La “drammaturgia dello spazio” è la chiave di volta di questa sperimentazione ibrida, che, come spiega l’artista «è sempre oscillante tra l’esigenza pittorica di cristallizzare le immagini e quella di farle esplodere in una dinamica drammaturgica». Non è un caso, perciò, che la sua mostra sia ospitata al nitsch museum. Con il maestro dell’azionismo viennese Cusumano ha stretto, fin da giovanissimo, un’unione professionale e un’amicizia unica; dal 1998 è stato direttore musicale dell’Orgien Mysterien Theater, trascrivendo ed eseguendo gran parte delle prime esecuzioni sinfoniche e performative di Nitsch sino alla sua morte.
È uno svolgimento monumentale e meditativo al contempo quello in cui si dispiega la mostra Raumdramaturgie, che la lunga sala del nitsch museum accoglie come una navata, quasi invitando alla contemplazione di sacri cicli figurativi. Il percorso inizia con i primi lavori dell’artista, opere di Pittura gestuale dei primi anni novanta. Nelle tele di grande formato è la pittura a essere messa scena, mentre il colore – plastico e denso – danza, cola e sembra voler fuoriuscire dai confini del quadro. Un impulso, quello di superare la superficie della tela e lavorare nello spazio, suggerito a Cusumano anche dal maestro Hermann Nitsch e che troverà forma nelle installazioni, in particolare, nel progetto site specific intitolato Installazione dei Morti (1994-2004), una sorta di teatro cristallizzato che rimanda ai calchi di gesso di Pompei e alle mummie delle catacombe dei Cappuccini a Palermo.
In mostra, una selezione di 40 immagini fotografiche documenta il percorso installativo, mentre emerge chiaro quello che il co-curatore della mostra Fabio Cavallucci definisce come il tema «soverchiante, continuo, assillante dei lavori di Cusumano: la morte». L’approccio al percorso installativo porta l’artista verso una stagione di studio sul tema della drammaturgia dello spazio, sviluppato in forma teorica all’inizio degli anni 2000. Sono, questi, gli anni in cui Cusumano inizia a realizzare le sue performance, oltre 25 nel corso della sua carriera.
E proprio molte performance sono la sostanza vitale di tante opere in mostra, per un’arte che vibra di rimandi e tracce, in un rispecchiamento continuo tra i diversi momenti creativi e forme espressive. Dalle fotografie delle performance sovra dipinte nasce infatti la serie dei Neri del 2022: volti, corpi e figure umane appaiono dall’oscurità tra bagliori di colori svelti, come fuochi fatui. Ma è nella serie dei Retablo, del 2021, che l’eco delle azioni performative risuona con forza più bruciante. «Ogni Retablo è frutto di una scheggia impazzita ed incandescente che fugge da uno spettacolo e va a bruciare una tela», spiega l’artista. Nei Retablo, la scenografia e i costumi diventano elementi a rilievo su grandi tele e, come relitti, imbalsamano le scene, conferendo a queste opere un’aura di reliquiari.
In mostra ne sono esposti diversi, tra i più impressionanti c’è quello legato a Le Ali della Farfalla. Realizzata da Cusumano nel 2007 al Madre di Napoli, la performance è ispirata alla vera storia del medico Carl Tanzler (von Cosel), che visse diversi anni con il cadavere di Elena Hoyos, giovane paziente di cui si era innamorato. Eclatante caso storico di necrofilia, la vicenda viene reinterpretata dall’artista come metafora del narcisismo.
È un’arte, quella di Cusumano, che turba, disorienta e che sentiamo toccare le corde profonde della psiche e dell’essere. E al contempo è un’arte che sfugge ad ogni rigida categorizzazione, un po’ come voler imprigionare un bagliore di luce in una mano. Nella vasta grammatica dell’universo di Cusimano si scoprono infatti anche creazioni più immediatamente materiali, come nella Fantarcheologia, serie composta da vasi dipinti Crateri tra il 2021 e il 2023 e dalle tavolette di terracotta in vetro fuso Ostrakon. Su questi l’artista dipinge, in frammenti icastici, l’azione scenica delle sue performance, come ad esempio Tragödia.
Evocato nel nome e utilizzato come sfondo nell’opera Biawe Principe, il colore bianco rimanda invece alla connotazione di morte nelle creazioni del pittore e regista teatrale polacco Tadeusz Kantor, di cui Cusumano ha approfondito a lungo il lavoro nell’archivio della Cricoteka. Ogni riferimento concreto – sia al contesto che ad opere pregresse – si perde, invece, nella recente serie dei Neri del 2023: qui il tratto, delicato ed evanescente, si fa gesto, geroglifico, segno astratto che danza sull’abisso.
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