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Lasciarsi toccare dal colore. La pittura di Ingrid Floss sbarca in Italia
Mostre
Quello che tanto ci piace delle personali da ABC-ARTE, è trovare subito stampata a caratteri cubitali una frase autografa del protagonista. Un concetto incisivo. Che se ci pensate è qualcosa di per niente banale: avere un pensiero guida firmato dall’artista non è come affidarsi alla penna filtrante di un critico. È come avere una Ingrid Floss (Colonia, 1970) a portata di orecchie quando non si ha la – nostra – fortuna di parlare con l’originale, per la prima volta in Italia con i suoi Paintings. Per la cronaca, Floss scrive: «Il colore è la lingua del cuore. Se organizzato in uno spazio che nasce dall’interno, il colore può toccare chi osserva, conducendo in un viaggio emozionale, per lasciare infine con una consapevolezza chiarificata». Diciamo che quando il colore tocca “può essere ferro o può essere piuma” (tradurre dal romanesco una citazione verdoniana è culturalmente scorretto, ovvio, ma italiano oblige). E che tocchi, in un modo o nell’altro, per chi scrive è già un gran risultato: se ti lascia indifferente, qualche errore di comunicazione è stato necessariamente commesso.
Floss e la tradizione espressionista
Nel concentrarsi su di una connessione tra pittura e musica, difficilmente il lavoro di Floss può lasciare indifferenti. E pur non trattandosi di un connubio nuovo di pacca, l’artista riesce bene a tradurlo in una serie di lavori sempre rappresentativi di quello “spazio che nasce dall’interno” citato in precedenza. Floss è espressionista, decisamente espressionista, erede di una tradizione alla Hans Hofmann e di un informale contestualizzato, spesso attraverso un titolo che non è un vezzo, ma una dichiarazione a scanso di equivoci: le opere di Floss sono dei contenitori emotivi, elementi riflettenti un dato momento o una data immagine, come per Hofmann la Primavera si concentra in varie colate di colore ad olio.
Le tre dimensioni di una pittura “a sorpresa”
Colore, lampante chiave di tutto. La gestualità con cui lo stesso è organizzato fa da diretta conseguenza, in un lavoro che per Floss procede passo dopo passo, senza pensare ad una composizione iniziale. Modificando toni e creando contrasti, intervenendo col nero su una campitura rossa, con l’arancio brillante su una base grigio medio o con un rosa acceso, che in Nah un feren l’artista racconta essere spuntato letteralmente come una “sorpresa”. Si arriva così alla sovrapposizione degli strati pittorici, altro punto fondamentale che l’artista tedesca ha tenuto a trattare nelle nostre quattro chiacchiere. Anche se, quando le opere già parlano per te, resta ben poco da aggiungere: la creazione di una profondità spaziale sulla tela (di cui l’artista – fa notare – non dipinge mai i bordi) va al di là dell’utilizzo materico del colore (da buona espressionista, Floss usa anche le mani come mezzo pittorico), puntando tutto sulla progressione spaziale delle campiture, in una sorta di terza dimensione catalizzante per chi osserva. Ogni opera è, per dirla alla Floss, come un “viaggio”. Per dirla con parole nostre, è come un ambiente con cui siamo chiamati ad interagire e in quanto tale non per forza ottimale. Non si fa, ma in certi casi non c’è alternativa giornalistica all’uso della prima persona singolare: Nach dem Regen o After midnight sono composizioni chiuse, soffocate e soffocanti, che mi respingono, tutto l’opposto delle accoglienti Summerjoy o Untitled (earth tones). In entrambi casi il colore mi tocca, non mi lascia indifferente. Nei primi però è “ferro”, nei secondi è “piuma”.