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Laura Grisi – MAMCO Museo d’Arte Moderna e Contemporanea
Mostre
La mostra al museo MAMCO di Ginevra – già e in versione più amplia al Muzeum Susch (2021), entrambe curate da Marco Scotini – riscopre con una retrospettiva la vicenda di Laura Grisi (1939-2017), un’artista di fondamentale importanza che solo recentemente, con la mostra dedicata ai suoi film alla GAM di Torino e la mostra alla galleria P420 di Bologna (entrambe del 2018), ritorna pienamente alla ribalta della scena artistica nazionale e internazionale.
Scotini, nel catalogo, sottolinea le ragioni di questa riscoperta in tematiche contemporanee come il “gender, l’ecologia, e l’interculturalità”. La particolare sensibilità femminile di Grisi, di fatto, la fa pienamente aderire al tempo in cui vive e le varie fasi del suo lavoro ne riportano evidenti le tracce ma, nel contempo, costruisce una vicenda personale estremamente originale e alternativa rispetto alla visione dominante maschile e occidentale (riprendo sempre da Scotini).
La mostra si apre con un’opera utopica e folgorante, il film The measuring of time del 1969 in cui l’artista accovacciata sulla spiaggia conta con le sue mani i granelli di sabbia in uno sforzo senza fine, che riporta a un tempo cosmico infinito e incommensurabile. L’enumerazione imponderabile, l’apertura e il minimale costituiscono i punti nodali e ricorrenti del percorso dell’artista. Centrale inoltre è il rapporto con il tempo, così ammette Grisi nella lunga intervista con Germano Celant (1989) riportata nel catalogo.
Sin dai Variable Paintings degli anni tra il 1965 e il 1966, che ha portato anche alla Biennale di Venezia del 1966, infatti la staticità della pittura viene scavalcata dalla possibilità da parte dello spettatore di fare scorrere gli scomparti della scatola-quadro, scoprendo immagini diverse con cui ricomporre l’opera. Il quadro Seascape del 1966, quando viene chiuso con gli scomparti superiori, rimanda all’immagine di una finestra, evocando in maniera arguta e autoreferenziale la prospettiva albertiana e il concetto di pittura come “finestra sulla realtà”.
I quadri si trasformano nel 1966-67 nei Neon Paintings in cui Grisi usa il neon per creare effetti di luce notturna ispirata agli effetti luminosi della città di New York, anche questi dipinti sono composti da più strati di materiali diversi anche trasparenti che creano effetti avvolgenti e impalpabili. Un lato è occupato dalla silhouette dell’artista, che rispecchia la figura dello spettatore immerso in una penombra atmosferica. Le due serie di quadri vengono mostrate nelle due prime mostre collettive oltreoceano dedicate alla giovane pittura italiana, all’ICA di Boston e al Jewish Museum di New York (1968).
Grisi allora aveva già avuto le sue prime personali alla galleria Il Segno di Roma (1964) e all’Ariete di Milano (1965), era ben inserita nel milieu artistico italiano con amici come Pascali e Gnoli, ma aveva avuto scambi anche con Lucio Fontana, padre putativo degli esperimenti con la luce al neon degli anni Sessanta, Grisi compresa. I suoi poli di formazione sono stati Roma e Parigi dove conosceva l’ambiente artistico, letterario e cinematografico.
Nei suoi primi quadri del 1964 e 1965 infatti i particolari di una macchina fotografica, le lenti gigantesche, i segni geometrici e matematici sono strumenti per inquadrare in maniera impassibile e nomenclatoria il reale, seguendo in questo le novità rivoluzionarie della “scuola dello sguardo” del Nouveau Roman e della Nouvelle Vague francese. Questa è un’attitudine che verrà ripresa ed approfondita nelle opere analitiche degli anni Settanta.
Ma c’era anche un altro motivo per l’analisi e la decostruzione dell’obiettività dell’immagine fotografica, di carattere biografico. Infatti dal 1958 Grisi aveva iniziato a viaggiare accompagnando intorno al mondo il marito Folco Quilici, film-maker, documentarista, teorico, scrittore: dall’America Latina, all’Africa, all’Asia. L’artista, figura nomadica, indaga e testimonia, con le sue fotografie, civiltà in via di sparizione e la diversità di atmosfere e paesaggi. Questo confronto prima documentaristico e poi problematico con l’Altro, ne ispira gli interessi nei confronti dell’immaterialità dell’aria, della luce, degli agenti atmosferici e nel 1968 inizia a lavorare trasponendo negli spazi delle gallerie gli elementi naturali come il vento (1968) con un’installazione e un film incredibile dove registra nei vari paesi che attraversa il nome e la velocità del vento, la nebbia (1968) ricreata artificialmente in galleria e – in mostra – punteggiata da quattro totem trasparenti illuminati da neon interni che ricreano atmosfere luminose delle varie ore del giorno fino al tramonto.
Alcuni dei totem di Grisi erano quest’anno alla Biennale di Venezia ospitati nella “cellula” dedicata alle artiste italiane degli anni Cinquanta e Sessanta. Sempre del 1968 è l’esemplare Volume of Air dove, grazie al neon disposto sugli spigoli della stanza ad evidenziare null’altro che lo spazio, riesce a dare forma al medium invisibile per eccellenza dell’aria. Appartenente alla temperie di quegli anni, tuttavia se ne distingue: non vuole reificare attraverso degli oggetti gli elementi della natura, ma aprire all’esperienza del mondo (anche psicologica e sicuramente immersiva) lo spettatore. Quindi, se non si riconosce nel gruppo dell’Arte Povera, tuttavia viene invitata a partecipare a una rassegna importante di Land Art nel 1971 a Boston, intitolata “Earth Air Fire Water: Elements of Art”, dove traspone nello spazio artificiale del museo l’esperienza della pioggia e della rifrazione della luce e delle forme nell’acqua.
Nel 1970 termina la fase degli environments naturali, dell’ambientazione immersiva, del coinvolgimento totale e “psicologico” dello spettatore e si passa ad una fase più fredda, concettuale e analitica. L’opera Sounds del 1971, in cui l’artista si mette all’ascolto del marginale e dell’infinitesimo come i sassi o le formiche può fungere da cerniera tra i due momenti. Poi con l’opera From one to four pebbles del 1972 dove enumera le plurime combinazioni con una logica ripetitiva di progressione numerica, entriamo nella nuova fase. L’opera le vale la personale da Leo Castelli a New York nel 1973.
Seguendo questa logica combinatoria e proliferante che conduce inevitabilmente al paradosso crea Ipotesi sul Tempo (1975) e Dialogo infinito (1977), nel primo le più di cento identiche fotografie di un orologio dalle lancette che vanno follemente avanti e indietro ricostruiscono un tempo anti-matematico e bergsoniano, nel secondo la ripetitività della fotografia di una scacchiera è contrassegnata da una tartaruga che incarna l’aporia spazio-temporale di Zenone.
In mostra gli estremi si toccano, gli anni Settanta coincidono con l’inizio dell’artista e i dipinti con gli strumenti fotografici, tutta la sua vita e la sua poetica sono ruotate attorno al problema della visione, del rendere visibile, degli strumenti che la rendono possibile, e le sue diverse fasi sono varie risposte metodologiche e processuali. Alla fine dell’intervista con Celant, Grisi parla per le opere degli anni Ottanta, non presenti in mostra, di un’affinità con il Barocco, per il suo mettere in scena una finzione, per mirare al coinvolgimento dello spettatore e infine per l’aspirazione – propria della scienza e dell’arte del Barocco – di aprire all’infinito e all’incommensurabile. Queste istanze, in fin dei conti, appartengono a tutto il coerente percorso dell’artista.
La mostra di Laura Grisi al MAMCO di Ginevra sarà visitabile fino al 29 gennaio 2023.