Nel pinball (noto in Italia anche con il termine flipper), lo scopo del gioco consiste nel non far precipitare la biglia d’acciaio colpendola con le “alette” poste alla base del piano inclinato, il quale illustra una mappa contenente elementi grafici, spesso tridimensionali, che fungono da ostacoli. Ognuno di questi, quando colpiti dalla biglia d’acciaio, apporta un punteggio o bonus al giocatore che lo colpisce.
L’opera AKS1 di Elena Alonso, collocata in fondo alle due sale espositive di A+B Gallery, crea non solo un portale di accesso alla mostra, ma assume anche un ruolo cardine, in quanto sintesi di un corpo organico che orienta e al tempo stesso disorienta il visitatore all’interno dello spazio. Ed è probabilmente ciò che colpisce e stupisce di più della pratica di Alonso, artista che condensa linguaggi eterogenei: da un lato il paesaggio onirico-urbano e dall’altro l’organicità e la sinuosità del corpo. Non lontana, in termini di approccio, dal gruppo fiorentino Superstudio, i disegni di Alonso, realizzati con tecnica mista, invitano ad una sorta di “iper-sinestesia razionale-sensoriale”1 che fonde l’organico umano con l’artificiale non-umano. Tutto, nelle sue rappresentazioni, è scandito e al tempo stesso lasciato alla libera interpretazione, controllato e istintivo. Come nel pinball, dove la la sfera d’acciaio colpisce più o meno casualmente gli ostacoli apportando bonus al giocatore, anche in AKS1 le s-regole sono le stesse: osservi, (ti) perdi, ma continui a giocare.
La precedente collettiva Farbe curata da Giorgio Verzotti, tenutasi anch’essa presso A+B Gallery, ha lasciato una traccia tangibile nelle opere esposte di Antonio Ballester Moreno, che forse rappresenta al meglio l’influenza cromatica ereditata da Farbe, contestualmente alla geometria presente nelle opere di Alonso. La ricerca artistica di Ballester Moreno si fonda infatti sulla sintesi e la reinterpretazione dei suoi riferimenti culturali e personali, che spaziano dagli oggetti di uso quotidiano alle allusioni culturali nel campo della musica, del cinema e della letteratura. Attratto da varie forme di folklore e dalla pop culture, nonché dall’artigianato e dai costumi, le sue immagini richiamano geometrie semplici, simili a quelle presenti nei patchwork, nei ricami, nei vasi, nelle piastrelle e nei disegni dei bambini. Questa pratica artistica ha inizio con un’attenta osservazione delle forme naturali, che l’artista successivamente sintetizza e arricchisce con una variazione cromatica, divenuta un segno distintivo dell’artista spagnolo.
Julia Huete, la più giovane degli artisti in mostra, adotta un approccio diverso, non basato sulla sintesi osservativa ma sull’elaborazione e valorizzazione dell’idea primordiale. La sua pratica artistica è intrisa di una forte vena letteraria, che trae ispirazione dalla lettura di testi, spesso di natura poetica, i quali vengono tradotti dall’artista in gesti sulla tela. Questi segni vengono dapprima abbozzati sulla superficie con una matita, per poi essere completati attraverso la cucitura di ricami che ricordano delle curve pixelate, rese possibili dal materiale e dal supporto su cui Huete interviene. Nel suo lavoro emerge una volontà di coniugare il linguaggio letterario e poetico con quello plastico, integrando la spontaneità del gesto iniziale della matita sulla tela con la pazienza necessaria per il processo di ricamo, cucito “pixel dopo pixel”. Sebbene i concetti di spontaneità e pazienza possano sembrare antitetici, nelle opere di Huete vengono armoniosamente combinati e fusi in un unico segno, offrendo una nuova prospettiva sull’interazione tra gesto artistico e processo di creazione.
Mentre per Julia Huete il gesto rappresenta il fulcro della tela, nella recente pratica di Guillermo Pfaff emerge l’astrazione come elemento predominante. I dipinti dell’artista spagnolo, pur richiamando cromaticamente le opere morandiane, si discostano notevolmente dalla precisione compositiva del maestro italiano. Pfaff si concentra sull’espressione di spontaneità e imperfezione del gesto pittorico, una scelta che conferisce un carattere unico alle sue opere. Molte delle dinamiche presenti nei suoi dipinti non possono essere spiegate attraverso processi pittorici convenzionali o dalla configurazione predefinita delle forme. Queste ultime, infatti, sia sparse che concentrate, incarnano simultaneamente tutto e niente. Rispetto alle forme geometriche tipiche dei periodi precedenti, Pfaff adotta ora figure irregolari e imprecise, talvolta goffe, che risultano essere una fusione di elementi geometrici e organici che fungono da modelli di accumulazione, ma al contempo perdono i loro limiti distintivi, sfumando nell’indeterminatezza.
Per meglio definire la pratica di Kiko Pérez si riporta un estratto di testo della Heinrich Ehrhardt Gallery, in riferimento alla personale Golfo de Roses dell’artista Guillermo Pfaff: «Il triangolo, una forma molto ripetuta nei suoi dipinti, non implica tanto un’”eclissi” quanto un’alba. E lungi dalla vittoria sul sole celebrata da Malevich, quello di Pfaff è un approccio più empirico che spirituale». Kiko Pérez si distingue per la sua pratica artistica volta a smantellare le concezioni categorizzate tradizionali. Nel suo lavoro, la forma, la categoria e l’analisi convenzionale vengono eliminate attraverso una disconnessione dalle logiche stabilite. Le opere esposte di Pérez si concentrano sull’uso della carta non come punto di partenza prestabilito, ma come condizione libera da decisioni preconcette. I suoi lavori, che combinano carte sovrapposte, legno, forme geometriche di collage e pittura organica, creano un panorama artistico enigmatico che sfida la logica tradizionale della pittura. Pérez stesso lo definisce “meccanismi alterati della logica della pittura”, dove non esiste un formato predefinito né un’idea prefissata; ciò che si osserva è ciò che viene prima e ciò che segue, in un presente fluido che sfida la linearità temporale. Il suo lavoro evoca una sensazione primitiva e suprematista, una forza che ci riporta alle origini, un viaggio in cui tutto è in divenire.
I dipinti di Miguel Marina rappresentano un processo, in cui idea, immagine e materiale si fondono in una sintesi unica. Le opere in mostra svelano un processo fuso, in cui ogni pezzo e materiale conduce al successivo, generando salti formali e discorsivi che esplorano il paesaggio e i suoi molteplici elementi attraverso la stratificazione di livelli cromatici. Le opere di Marina svelano e allo stesso tempo nascondono un mondo interiore dove le pennellate fitte oscurano e proiettano un’ombra sottile che si insinua gradualmente tra l’opera e lo spettatore, mostrando una individuale e frammentata esperienza della natura percepita dall’artista stesso.
I lavori in mostra di José Díaz ruotano attorno all’idea di città tecnologica e all’esperienza urbana, soprattutto legata al notturno. Lo sguardo dell’artista si concentra sugli spazi più underground delle città, come i locali notturni e la metropolitana, collegando questi ambienti alle modalità di esperienza virtuale e di realtà simulata nei videogiochi, nonché ai modelli organizzativi tipici delle immaginazioni fantastiche o delle distopie cyberpunk. L’obiettivo è mettere in evidenza l’importanza delle poetiche del sottosuolo come fonte di luce e di evasione, intese come potenti strumenti emancipatori.
In questo contesto, emerge nuovamente il concetto del pinball, non solo nella sua manifestazione materiale come gioco spesso associato a mondi fantascientifici, ma anche nelle traiettorie della sfera d’acciaio che, mediante il contatto con gli ostacoli, crea un percorso intrecciato di rimbalzi, delineando e ri-definendo mondi fantastici ed esperienze immaginarie. Questa dinamica sottolinea il potere trasformativo e creativo che risiede nelle interazioni tra gli elementi apparentemente statici e ordinari del nostro ambiente, suggerendo un’espansione della visione della realtà stessa.
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