Affacciata su Campo San Polo, la galleria ospita una retrospettiva sull’attività di Roberto Sebastián Matta attraverso una raccolta di oltre venti opere che l’artista ha realizzato dai primi anni Quaranta alla fine degli anni Sessanta. La presentazione delle opere non segue un percorso di tipo cronologico, ma si basa principalmente su accostamenti visivi e cromatici, enfatizzando così l’unicità del segno pittorico di Matta.
Entrando nella sede espositiva di Palazzo Donà Brusa, le opere colpiscono non solo per la forza dei colori, ma soprattutto per lo sconvolgimento dei principi costruttivi nella rappresentazione spaziale e per la creazione di una visione artistica unica rispetto ad altri artisti a lui contemporanei. Le forme che abitano i quadri di Matta, più o meno immaginarie che siano, appartengono a un mondo diverso da quello reale e mettono in difficoltà la capacità umana di identificare i segni stesi sulla tela con un soggetto riconoscibile – come accade con l’opera in mostra dal titolo L’or du Veau. Questa poetica, vicina all’ambiente surrealista, si ricollega direttamente alla biografia artistica di Matta.
La frequentazione del mileu artistico parigino dei primi anni ‘30 consente a Matta (di origine cilena) di entrare in contatto con le idee e le creazioni di André Breton e Salvador Dalì. Dopo un primo impiego al fianco dell’architetto Le Corbusier, Matta decide di dedicarsi alla pittura e si inserisce nel gruppo dei surrealisti. Fondamentale per lui è il trasferimento nel 1939 a New York, dove l’artista ha la possibilità di conoscere e rinnovare le sperimentazioni pittoriche contemporanee.
Il dipinto che si trova all’ingresso, Senza titolo, riassume materialmente quanto assimilato da Matta durante gli anni parigini e il periodo a New York, città in cui continua a frequentare il gruppo di surrealisti emigrati, che comprende (tra i vari) Max Ernst, e ad esporre presso le più importanti gallerie del periodo, ad esempio Art of This Century di Peggy Guggenheim. Completato nel 1949, poco dopo essere tornato dall’America, il quadro fa riferimento anche a quanto sviluppato in parallelo dagli artisti della New York School, vicini alle prime fasi dell’espressionismo astratto.
L’opera presenta visivamente alcuni degli elementi caratterizzanti dell’attività pittorica di Matta, che si possono ritrovare anche in altri dipinti e nei lavori su carta in mostra. L’artista sviluppa l’opera partendo da una concezione astratta che prende corpo sulla tela attraverso una serie di tratti pittorici istintivi e veloci – riferibili all’automatismo di stampo surrealista. Il passo successivo comporta l’osservazione di quanto raffigurato sulla tela per poter ritrovare un qualsiasi riferimento figurativo. In breve, a partire da un’astrazione, Matta riesce a giungere a una figurazione immaginifica.
Il dipinto del 1952 La Crocifissione delle mosche, appartenente al periodo di maturità artistica, è esemplificativo della modalità pittorica di Matta: i tratti e i colori gettati inconsciamente sulla tela danno vita a soggetti riconoscibili. L’attività dell’artista si estende anche alle opere su carta. Infatti, in esposizione è possibile ammirare alcuni disegni, tra cui Soleil e Angoisse, che rappresentano elementi naturali e stati d’animo tramite un segno essenziale e veloce.
Attraverso questa esposizione dedicata a Roberto Matta, Tommaso Calabro riafferma la propria volontà di ripercorrere alcune tappe fondamentali del movimento surrealista e in particolare del gruppo di artisti che gravitava attorno al gallerista greco Alexander Iolas.
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