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Le Volpi alla Galleria Di Marino: intervista ad André Romao
Mostre
di Chiara Reale
Sorriso timido e sguardo fermo: André Romão unisce nella mimica e nella gestualità la morbidezza dell’animo gentile alla sicurezza di chi ha ben chiaro cosa vuole. Con la mostra “Le Volpi”, in mostra fino al 31 luglio 2021, approda per la seconda volta nella sua vita artistica alla Galleria Umberto Di Marino a Napoli, dopo le due precedenti, felici collaborazioni: la personale “Barbarian Poems”, nel 2011; e “Sirena”, esposizione nata dall’incontro con l’artista Ana Manso, nel 2015.
Classe 1984, portoghese e fiero cittadino di Lisbona, nel suo nuovo progetto Andrè Romão fonda la propria ricerca artistica sul rapporto conflittuale ma imprescindibile fra arte in età contemporanea e arte del passato. E sulla necessità di un gesto di rottura che, per sua stessa definizione, non può fare a meno di una componente violenta, come conditio sine qua non per il cambiamento.
Partiamo dal titolo scelto per questa mostra: “Le Volpi”. Un animale a cui sono associati molteplici significati: da quelli di protezione e benevolenza del mondo orientale a quelli di mutevolezza, sessualità e peccato del mondo occidentale. In quale, o quali, di queste accezioni si inserisce il tuo lavoro?
«Fra le mie tante passioni c’è quella per la letteratura cinese, nello specifico per il racconto fantastico e mitologico di epoca Ming e Qing. Penso, ad esempio, alla Volpe a Nove Code, una creatura leggendaria che appare nei racconti orali di varie zone dell’Asia orientale, più specificatamente in Cina, dove è chiamata Jiǔwěihú, ed in Giappone, sotto il nome di Kyūbi no Kitsune. La sua rappresentazione è estremamente varia. Può essere mangiata dall’uomo, e in questo caso ha un effetto di protezione, ma può essere anche esercitare un influsso maligno. Credo che questo concetto sia rappresentativo dell’animo umano: ognuno di può essere sia vittima che carnefice. E il confine è labile e nascosto. Racchiudo il senso profondo di questo pensiero in Trappola, forse la mia opera più criptica. È una piccola, semplice scatola di cartone che contiene e nasconde una pelle di volpe, a voler rappresentare il cuore di inaudita violenza nascosto in ogni essere umano. Con un gesto può esser tirata fuori e mostrata, ma può anche restare lì “intrappolata” per sempre, invisibile a tutti».
Il passato. Qualcosa da distruggere, ma anche punto di partenza, una frase interrotta da proseguire. Nelle tue opere Innesti e Dafne si scorge un rapporto di “amore-odio” con il passato. O forse è amore-odio con il concetto di tradizione?
«Non sarei quel che sono senza l’arte e la letteratura del passato! Nella mia arte il mondo classico è ovunque. È qualcosa che ti definisce ma è qualcosa da cui è anche importante emanciparsi. Nel suo libro La distruzione dell’arte, lo scrittore e storico dell’arte Dario Gamboni racconta come ogni generazione abbia il diritto di narrare la propria visione del mondo e delle cose e come per far ciò sia importante tagliare in cordone ombelicale con la rappresentazione ereditata da chi la precede. Alla base di questo cambiamento c’è un’azione violenta che non è negazione, ma è piuttosto un voler dire “basta!”. Praticamente ciò che dà inizio ad ogni rivoluzione. Nell’opera Innesti agisco su una scultura in legno originaria del 1800 “decapitandola” ma aggiungo ad essa un ramo con piccoli germogli. Il passato è dunque qualcosa da violare ma, al tempo stesso, qualcosa da cui partire per rinascere».
Questa esposizione è estremamente varia: metti a confronto oggetti antichi, statue e piccoli cimeli, con materiali estremamente contemporanei, come il plexiglass…
«Accostare materiali, forme e concetti tanto distanti fra loro crea un cortocircuito a mio avviso assolutamente interessante. Non a caso il percorso espositivo che “disegno” nelle tre sale della galleria vede al centro due istallazioni estremamente minimali in plexiglass. Nell’opera Chemical Sweat, composta da un doppio supporto in plexiglass cosparso da vasellina, riproduco artificialmente ciò che accade organicamente nel processo di sudorazione. Con il variare della temperatura, dal freddo al caldo e viceversa, la vasellina si scoglie e si solidifica. Sciogliendosi riproduce ciò che accade sui corpi con il sudore: inizia a sgocciolare. In ciò è racchiusa una forte carica erotica ma c’è anche qualcosa di disturbante, ossia il veder paragonato l’essere umano, nella sua prodigiosa complessità, a un semplice fenomeno fisico.»
Prendersi cura come gesto salvifico. Dafne è l’opera che conclude l’esposizione. Un piede di statua diviene un vaso per foglie e fiori, componendo un’istallazione eterea e poetica. È nella cura del prossimo, forse di noi stessi o della nostra storia, la vera bellezza?
«C’è un’immagine a cui sono particolarmente affezionato: quella del gallerista che, da solo in galleria, cambia l’acqua ai fiori. Questa “visione” mi dà una sensazione di profonda pace e fiducia nel futuro. Dobbiamo prenderci cura della storia, cambiarle l’acqua, ripararla dalle intemperie dell’indifferenza, proteggerla dall’oblio che rischia di divorarla come insetti infestanti. C’è molta umanità in questo: accanto all’efferatezza potenziale, alberga in ognuno di noi la capacità di azioni di estrema delicatezza e di commovente amore.»
André Romão, Lisbona 1984, vive e lavora a Lisbona. Ha studiato alla Faculty of Fine Arts, Università di Lisbona, P (2002-2007) e all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano (2006). Ha preso a parte a vari programmi di residenza come: Gaswork, Londra, UK (2019) Contemporary Divan, Palazzo Milio, Ficarra, I (2015), Bar residency, Barcellona, S (2014), Macro, Roma, I (2014), AirAntwerpen, Anversa B (2012), Budapest Galleria U (2011), Künstlerhaus Bethanien, Berlino, G (2009-2010), Eira 33, Lisbona (2007). Ha partecipato a numerose mostre in istituzioni sia pubbliche che private come: Fundação Calouste Gulbenkian, Lisbona Serralves Museum, Porto, Stedelijk Museum, ‘S-Hertogenbosch, O, Astrup Fearnley Museet, Oslo NO; Kunsthalle Lissabon, Lisbona P; Musée d’Art Contemporain de Bordeaux FR; Galeria Municipal do Porto; MAAT, Lisbona,; MACE – Colecção António Cachola, Elvas; Künstlerhaus Bethanien, Berlino, Museu Nogueira da Silva, Braga; The Green Parrot, Barcellona; MACRO – Museo d’arte Contemporanea Roma; Tenderpixel, Londra, UK.
Nel 2019 ha realizzato un’importante solo show dal titolo Fauna, al Museu Coleção Berardo di Lisbona curata da Pedro Lapa. Attualmente il suo lavoro è esposto al Bluecoat per la Biennale di Liverpool 2021, The Stomach and the Port, curata da Manuela Moscoso.
Ha realizzato due mostre alla Galleria Umberto Di Marino: “Sirena” con Ana Manso (2015) e “Barbarian Poems” (2011). André Romão collabora attivamente con la Galleria Umberto Di Marino dal 2011.Ci portiamo addosso, volenti o nolenti, il peso della Storia dell’arte.