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L’emozione della pittura moderna: è a Urbino la grande mostra dedicata a Federico Barocci
Mostre
Colore, invenzione e poetica degli affetti. Visitare Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna alla Galleria Nazionale delle Marche significa riscoprire l’attualità di uno dei più rilevanti artisti attivi tra la fine del XVI e i primi anni del XVII secolo. Federico Barocci (1533-1612), noto esponente del Manierismo e anticipatore del barocco, è stato portatore di una sensibilità nuova, naturalistica e affettiva, fiorita nel contesto culturale della Controriforma. I due curatori, Luigi Gallo, direttore della Galleria, e Anna Maria Ambrosini Massari, docente di Storia dell’arte moderna presso l’Università degli Studi Carlo Bo, con l’ausilio di Luca Baroni e Giovanni Russo, riuniscono per la prima volta a Urbino più di 70 opere per una monografica dedicata al Maestro cinquecentesco.
Pittore, ma anche disegnatore e incisore, Barocci ha lasciato un’ampia eredità tra chiese e musei: all’eccezionalità della nuova mostra contribuisce il gran numero di prestiti nazionali e internazionali che accresce la già ricca collezione della Galleria delle Marche, includendo anche lavori provenienti dai depositi e affascinanti disegni preparatori. Questo progetto, inaugurato a fine giugno a seguito di tre anni di lavoro, dimostra quanto i musei non siano «monadi senza finestre, ma nodi di una rete»: citando Gottfried Leibniz, il co-curatore Luigi Gallo ha voluto esprimere la sua gratitudine per lo spirito di condivisione che ha reso possibile «una mostra che è un pensiero fatto da tanti pensieri. Colta, raffinata ma accessibile a tutti», nelle parole del direttore generale Massimo Osanna.
Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani, ha definito l’esposizione «la mostra dell’anno», spiegando che non spesso le viene chiesto, come in questo caso, di «smantellare un’intera sala dei Musei Vaticani», azione che testimonia l’ambizione di un progetto che riporta le opere di Barocci a dialogare con la città. Dialogo metaforico e non solo: la stessa Urbino, sfondo della vita dell’artista, compare dipinta in Noli me tangere, si affaccia dallo scostarsi di una tenda nella Madonna della gatta e dalla finestra de L’Annunciazione. La grande mostra coincide con la fase straordinaria di ripensamento di tutto il Palazzo, restauro avviato grazie ai fondi PNRR in vista di Pesaro Capitale Italiana della Cultura 2024. Un riallestimento che risalta le vivaci scelte cromatiche baroccesche contrapponendovi un elegante fondo verde scuro, scandito in sei sezioni tematiche che corrispondono a sei nuclei narrativi.
Il percorso espositivo inizia da una galleria di ritratti che introduce al mondo del Barocci: i personaggi fondamentali della corte del duca Francesco Maria II della Rovere e gli autoritratti dell’artista, con l’incredibile forza comunicativa dei volti e degli sguardi, ci preparano alla vibrante resa emozionale delle tele esposte nelle sale successive. La cosiddetta Madonna della Gatta, ricca di personaggi e paesaggio, esalta la grazia spontanea del disegno. Evidente è l’indagine suggestiva delle espressioni che operava Barocci per palesare l’interiorità dei soggetti. La seconda sala meraviglia con una selezione di pale d’altare che evidenziano il diverso approccio del Maestro rispetto alla tradizione cinquecentesca: innovazione linguistica e compositiva che riguarda l’uso di colori vivissimi, elaborate scene prospettiche e ambientazioni notturne.
Nella terza sala si trovano i cosiddetti quadri da stanza, di piccola dimensione perché destinati alla devozione privata. Il tema degli affetti, la natura e la delicata resa del sentimento delineano la sua «poetica emozionale divergente, non omologata, ma senza essere “contro”» la tradizione. Come indicato dalla co-curatrice Anna Maria Ambrosini Massari, in queste tele si ritrova «non la realtà urlata di Caravaggio, non l’emozione esasperata di Rubens, ma quell’attimo di eterno che possiamo trovare nel senso domestico delle scene quotidiane, affettuosità affine a come siamo noi oggi».
Per allestire la quarta e la quinta sala, sono stati scelti disegni, cartoni, incisioni e acqueforti provenienti dalle maggiori raccolte nazionali ed estere. Il tratto grafico del Barocci e la successione dei disegni restituiscono l’accurata narrazione del suo processo creativo, dal bozzetto all’opera finita. Di particolare impatto l’affiancamento dei fogli preparatori conservati al Cabinet des dessins del Louvre e l’opera finita Fuga di Enea da Troia, prestito della Galleria Borghese di Roma. Anche il Trasporto di Cristo e L’Annunciazione, proveniente dalla Pinacoteca Vaticana, permettono di intuire la genesi delle due grandi tavole. La sesta sala ci catapulta in pieno Seicento: le ultime opere dell’artista, in cui il colore diventa pura emozione cromatica, anticipano soluzioni proprie dell’arte barocca e testimoniano uno slancio pre-romantico nella perdita di consistenza del terreno e della figura.
L’esposizione costituisce una promessa esaudita dopo 111 anni: nel 1913, il primo direttore Lionello Venturi aveva scelto di inaugurare la Galleria nel giorno del terzo centenario della morte di Barocci ed espresso il desiderio di dedicare un’intera mostra al Maestro. Progetto rimasto su carta fino ad ora e fortemente voluto dal direttore Luigi Gallo nell’ultimo anno del suo mandato, per condurci in un vero e proprio viaggio alle radici del moderno nelle Marche del secondo Cinquecento.