«Vivendo abbastanza a lungo in India si impara a trovare un’intimità all’interno del grande caos», le parole sono quelle di Ketaki Sheth, una delle protagoniste della mostra India oggi. 17 fotografi dall’Indipendenza ai giorni nostri, a cura di Filippo Maggia, prodotta e organizzata da ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli-Venezia Giulia.
Fino al 18 febbraio 2024 nelle sale del Magazzino delle Idee di Trieste ci si potrà immergere nel grande caos di cui parla Ketaki Sheth dove cercare il nostro personale angolo di intimità.
Il progetto è ambizioso: essere la prima mostra che raccoglie e presenta a livello europeo settant’anni di fotografia indiana in un unica grande esposizione composta da oltre 500 opere tra fotografie, video e installazioni. Un viaggio attraverso sette decenni di storia, cultura e società indiane, ripercorse attraverso l’occhio sensibile di 17 fotografi. Kanu Gandhi, Bhupendra Karia, Pablo Bartholomew, Ketaki Sheth, Sheba Chhachhi, Raghu Rai, Sunil Gupta, Anita Khemka, Serena Chopra, Dileep Prakash, Vicky Roy, Amit Madheshiya, Senthil Kumaran Rajendran, Vinit Gupta, Ishan Tanka, Soumya Sankar Bose, Uzma Mohsin.
Una cultura che nell’ultimo secolo ha ammaliato l’Occidente come nessun’altra, l’elenco di artisti stregati da questo continente è lungo, gli italiani Luigi Ontani, Francesco Clemente ed Ettore Sottsass tra molti altri. Ma come presentare una cultura senza cadere in un racconto banale? Come si può finire la visita e avere l’impressione di essersi portati via davvero un pezzetto di questa terra? «India Oggi si prefigge questo obiettivo particolarmente ambizioso: non solo documentare la tradizione fotografica indiana dall’Indipendenza al presente e l’evoluzione del Paese negli ultimii settant’anni, ma restituirci atmosfere, contesti sociali, momenti di vita, odori.», come spiega Guido Comis, Direttore del Servizio di valorizzazione e sviluppo del territorio di Erpac.
E chi ci accompagna in questo viaggio? Gli stessi protagonisti, gli artisti, che attraverso video interviste registrate in India lo scorso marzo, raccontano la loro esperienza diretta, il proprio vissuto. Quel momento intimo di conoscenza del soggetto restituito attraverso la fotografia, adottata come testimone ma anche e soprattutto «come specchio di un sé che matura in un paesaggio che cambia, all’inizio con titubanza, quasi con timore, per poi lentamente affrontare il presente, passo dopo passo.», spiega il curatore nel suo testo all’interno del catalogo.
Ecco che rimaniamo incollati allo schermo ad ascoltare l’esperienza di Dileep Prakash mentre ci racconta della sua ricerca sulle comunità angloindiane. Dal 2004 per oltre due anni ritrae persone di estrazioni sociale diverse nelle proprie case, proprio questo lavoro lo porta ad incontrare Christine Fernandes.
Christine è una donna angloindiana che vive in estrema povertà nella città ferroviaria di Khurda Road, quando Dileep si presenta nella sua casa, quasi in rovina, per chiederle un ritratto lei rimanda l’incontro al giorno successivo per via dei suoi ‘numerosi impegni’. Al suo ritorno trova la donna truccata e in un lungo vestito rosa elegante, scattandole così uno dei ritratti più emozionanti della mostra, in cui la casa fatiscente che appare come sfondo crea un cortocircuito con il look impeccabile della donna.
Sono storie individuali ma che trasmettono valori universali, «diari privati , raccolte di immagini e album fotografici pazientemente assemblati negli anni». Nel nuovo millennio appare chiaro che la fotografia indiana circoscrive il proprio campo di immagine attorno a quelli che sono i temi e le questioni più urgenti, «Il processo di repentina e inarrestabile evoluzione economica e industriale in atto in India dalla fine dello scorso millennio – scrive Filippo Maggia nel suo testo di introduzione al catalogo – sta provocando gravi conseguenze sia sociali, quali questioni di genere, identità e religione, sia ambientali. L’inevitabile spopolamento delle campagne e delle zone rurali, dalle pendici dell’Himalaya sino all’estremo sud del Kerala, ha portato al sovraffollamento di metropoli quali Mumbai, Nuova Delhi o Calcutta, con un forte impatto sull’ambiente, che alle volte implica addirittura lo spostamento coercitivo di milioni di persone da una regione all’altra. È di questi temi che si occupa oggi principalmente la fotografia indiana, ormai emancipata dall’immagine tradizionale dell’esotica India colorata di salgariana memoria».
Una mostra che conclude il 2023 del Magazzino delle Idee di Trieste, che quest’anno ha portato l’attenzione su diversi panorami sociali e culturali distanti da quello occidentale; dalla mostra dedicata a tre fra i più celebri fotografi africani (Seydou Keïta, Malick Sidibé, Samuel Fosso), alle immagini di Monika Bulaj scattate nel corso dei viaggi che l’hanno portata a conoscere popoli e civiltà lontane e minacciate dal Medio Oriente al Centro America.
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