Attraverso l’immaginazione, il soggetto proietta una parte del sé all’interno dell’oggetto immaginato. Grazie a un processo che ricorda la libertà immaginifica tipica della dimensione onirica, il soggetto trasferisce parte del sé all’interno dell’oggetto sognato che – a sua volta – diviene il soggetto stesso. Che cosa significa perciò immaginare e quali elementi definiscono l’intimità di tale condizione? Con L’intima materia – mostra personale presentata negli spazi espositivi di Boccanera Gallery a Trento – Davide Quartucci ricerca uno sguardo illusorio, surreale, una vera e propria ossessione per il mistero racchiuso nelle particolarità delle cose, della materia. Questa – grazie a un’intuizione del soggetto – diviene essa stessa un’immagine intima: sognare l’intimità della materia o della terra significa proiettarsi nella materia e divenire terra con la terra. Ogni materia immaginata è perciò l’immagine stessa di una condizione interiore.
L’intimità ricercata da Quartucci è traducibile secondo quelle che il filosofo francese Gaston Bachelard (1884 – 1962) definisce come immagini del profondo: sono immagini a cui il soggetto non ha accesso immediato, frutto di una visione che trascende la superficie dell’oggetto. Per scovare l’intimità della materia è necessario accedervi attraverso la rêverie, uno stato di un abbandono fantastico dell’io.
L’artista – ricercando uno stato di profonda intimità – sogna una dimensione di riposo dell’essere, un rifugio, una condizione liminale tra vita e morte. Spinto da un moto immersivo, Quartucci penetra la superficie della materia per accedere ad uno stato di eterno riposo. Una discesa lenta, profonda e ritmata che scova i dettagli più segreti della terra. Le cavità indagate dall’artista sono buchi, tane e pozzi, elementi tipici della sua ricerca artistica che da sempre insiste sulla rappresentazione del mondo che ci circonda secondo l’utilizzo di simbologie e di ambienti apparentemente incantati.
Soffermandosi sul dipinto Il guardiano del pozzo (2023) – ad esempio – è evidente come il soggetto rappresentato giaccia all’interno di una cavità della terra, una sorta di grembo materno che restituisce una dimensione accogliente e allo stesso tempo perturbante. L’opera è caratterizzata da toni scuri e freddi di cui l’artista si serve sapientemente per esprimere appieno la fragilità della condizione umana ed il binomio costante tra vita e morte.
La pittura di Quartucci è frutto di un processo riflessivo – in parte meditativo – secondo il quale lo sguardo penetrante di un individuo conduce alla scoperta di una dimensione celata all’interno della materia, in cui il soggetto ritrova la proiezione in profondità del proprio io, intimo e nascosto.
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