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Una delle condizioni e, allo stesso tempo, delle maggiori complessità attorno alla curatela di una mostra d’arte contemporanea è sicuramente la necessità di conciliare i mondi difformi da cui artista e curatore provengono. Tendenzialmente, il rapporto avviene a uno a uno, artista e curatore. Nel caso della mostra Velasco Vitali. Listen Better, organizzata negli spazi dell’Exhibition Hall dell’Università IULM di Milano dal 25 ottobre al 24 novembre 2023, non parliamo di un unico curatore, bensì di un team di dieci studenti ancora inesperti. La mostra è stata il risultato di compromessi, concessioni, scontri e lotte fratricide per riuscire a portare al pubblico un esperimento – sia curatoriale che artistico.
In questo, Velasco Vitali ha dimostrato di porsi davvero nella dimensione di ascolto che la mostra si proponeva di veicolare. Critico, innanzitutto verso se stesso, aperto agli stimoli pretenziosi di noi giovani studenti che, non con poca arroganza forse, abbiamo preteso di riconsiderare completamente la sua produzione per comprendere come potesse aderire alle emergenze paradigmatiche del presente. L’osservare il reale, la sua dimensione di spietata topia in Foucault, ci ha permesso di cogliere la necessità politica dell’opera di Vitali e di riproporla in una nuova anarchia visiva e concettuale.
Nella nostra insofferenza ad accettare tematiche già copiosamente trattate nella poetica dell’artista, abbiamo cercato di sorprendere Vitali stesso e obbligarlo, in un certo senso, a rivedersi, oggi, in opere che attraversano vorticosamente gli scorsi decenni. Il processo è iniziato con l’analisi delle nuove istanze del nostro tempo, connesso ad una profonda ricerca critica dell’opera di Vitali e a lunghi e prolifici momenti di discussione con l’artista sul ruolo dell’arte e del suo creatore, nella nostra contemporaneità.
Le catastrofi naturali, la riflessione sull’antropocene, il dramma della contemporaneità, apparivano come suggestioni di una nube di stimoli attorno ai nostri occhi: ci siamo rivisti nelle opere così espressive dell’artista e abbiamo compreso che, effettivamente, tutto ciò che noi stiamo facendo, in quanto esseri umani, non è sicuramente abbastanza. In un tempo in cui parlare di cambiamento climatico dovrebbe essere prerogativa della politica, lo scarico di responsabilità avviene sulle spalle dei più sensibili. L’informazione viene deformata dai social; l’informatività supera l’efficacia stessa del dato reale. Riflettendo sulle emergenze e le situazioni che stiamo vivendo nella nostra penisola (l’alluvione in Emilia-Romagna in questa primavera, l’incendio in Sicilia nella scorsa estate, gli eventi di Milano questo autunno) e osservando come la pratica di Vitali costituisse uno studio profondo del contemporaneo per il contemporaneo, abbiamo ipotizzato una congiunzione tra questi stimoli molteplici in una narrazione che fosse coerente: la natura sembra ribellarsi e chiedere di essere ascoltata. Un gesto attivo, che presuppone la messa in discussione della natura stessa in quanto fonte inesauribile.
Noi, studenti dallo slancio utopico, ci siamo confrontati con la dura realtà dei fatti nel realizzare le architetture complesse che solo immaginavamo: visivamente, abbiamo dovuto affrontare non pochi problemi tecnici. Innanzitutto, l’issare su una parete di oltre 13 metri la grande tela di Paesaggio Cancellato (1990), sospendere le tre mongolfiere della serie Aria (2013-2016) da 10 metri d’altezza, proiettare il video Kolmanskop (2011) su una parete di oltre 4 metri (e Vitali non aveva mai esposto un video né avrebbe pensato di farlo). In questo, è stato fondamentale il resto del team, composto da 21 persone: 12 di loro si sono occupati dell’organizzazione e della produzione vera e propria, i restanti 9 della comunicazione e promozione.
L’esito della mostra, che abbiamo organizzato in completa autonomia con il coordinamento della Professoressa Anna Luigia De Simone e del Professor Vincenzo Trione, ha visto lo spazio complicato dell’Exhibition Hall invaso da presenze massicce, pesanti, che obbligavano lo spettatore ad osservare e osservarsi nella devastazione a cui poteva assistere. Una sorta di conscio delirio ipertrofico in cui forme differenti e opere eterogenee sono state accostate e arricchite di nuovi significati relativi. Il grande protagonista, Velasco Vitali, è stato il vero fautore di questo esperimento: ci ha ascoltato, si è messo in discussione aprendosi al nostro pensiero, cogliendo i nostri riferimenti e approfondendoli, risemantizzando e ibridando le sue opere.
Solo i critici e voi spettatori potrete darci un giudizio obiettivo su quella che è stata la resa effettiva del progetto. Tuttavia, vorrei solo lasciar trasparire quanto il nostro atteggiamento di ossessivo dominio della realtà possa portare solo ad una devastazione senza alcuna possibilità di ritorno. Ed è adesso, in cui agiamo al limite del funambolismo su un abisso che sembra inevitabile, che dobbiamo correggere radicalmente le nostre prospettive narcisistiche. Il presente ci mostra la paura di un pugno di polvere: l’esito prevedibile di un collasso sistemico per cui la presenza stessa dell’uomo, nel reale, potrebbe diventare insostenibile senza un pronto intervento attivo.