Rovigo propone a Palazzo Roverella, fino a domenica 26 gennaio 2025, la più importante mostra monografica italiana su Henri Cartier-Bresson (1908- 2004), incentrata sul rapporto tra il celebre fotografo e l’Italia. Un lungo cammino tra gli anni ’30 e ’70 in cui, attraverso circa 200 fotografie e documenti come lettere, giornali, riviste e volumi, è analizzata in tre tappe un’Italia vista con un’attenzione compositiva ed un istante decisivo di bellezza e realtà sociale unici.
Scandita cronologicamente, la mostra apre con il primo viaggio del Maestro durante gli anni ’30, ovvero quando il giovane Henri decise di abbandonare la pittura e sposare la fotografia. Era infatti il 1932 quando a 24 anni lui decise, con la sua inseparabile Leica, di intraprendere un tragitto in compagnia dell’amico André Pieyre de Mandiargues, poeta e scrittore, e della sua compagna, la pittrice Leonor Fini. Assieme a loro scattò alcune delle immagini più famose di città come Trieste, Firenze, Livorno, Siena, Napoli e Salerno.
La seconda tappa delle mostra parla invece di un nuovo viaggio, questa volta nei primi anni ‘50, tra la Lucania e l’Abruzzo. Terre di grande interesse culturale, sociologico e per l’appunto fotografico, queste zone erano l’emblema di quel Sud in cui si affrontavano tradizione e modernità, povertà e cambiamenti sociali, nel dopoguerra. In questo periodo per Henri fu forte inoltre l’influenza del pittore e intellettuale Carlo Levi, riferimento fondamentale per i tanti fotografi, italiani e stranieri, che si muovono tra Matera e i paesi del territorio, tra cui Scanno, nei pressi di L’Aquila.
Il suggestivo racconto per immagini prosegue nel susseguirsi di viaggi da lui compiuti poi in Italia negli anni ’60. Divenuto ormai celebre per la sua mostra al MoMa di New York e per la fondazione dell’Agenzia Magnum nel 1947, Cartier-Bresson ritornò in Italia tra gli anni ‘50 e ‘60, realizzando servizi per le grandi riviste illustrate dell’epoca, tra cui Life, Vogue, Holiday e Harper’s Bazaar. Sono scatti dedicati soprattutto a persone umili ma anche a personaggi del calibro di Pasolini, Visconti, Rossellini e de Chirico. Il tutto in spazi come Roma, Napoli, Venezia, Ischia e Sardegna, che restituiscono appieno il clima di quegli anni e la specificità di un paese non ancora omologato. Non a caso alcune di queste immagini confluirono in uno dei libri più noti del fotografo, Les Européens (1955).
L’ultima sezione è infine riservata al ritorno in terra materana negli anni ‘70, proprio a ridosso cioè dell’abbandono definitivo della sua professione di fotografo. La mostra chiude così con le immagini di molti di quei luoghi frequentati da lui vent’anni prima, in cui è facile leggere continuità e discontinuità del tempo, l’avanzare della modernità e la persistenza delle identità locali, specie con quelle dedicate al mondo del lavoro industriale, tra Olivetti e Alfa Romeo. È qui ammirabile la capacità con cui Cartier-Bresson riesce a mettere in luce l’eternità di alcuni segni inconfondibili dei luoghi, così come per i cambiamenti legati all’incedere del progresso, proiettando i visitatori all’interno di alcune consistenti fonti generative della nostra contemporaneità. In conclusione in Henri Cartier-Bresson e l’Italia emerge la forza del legame tra il percorso intimo e professionale del Maestro in oltre 30 anni di carriera, ed il ritratto corale, sociale, paesaggistico e – soprattutto – autentico dell’Italia.
Definito come “l’occhio del secolo”, per Henri il fotografo era un mestiere fugace, di sorpresa ma anche di totale trasporto, per rendere lo scatto autentico. Con il suo sguardo rapace, Cartier-Bresson non tralasciava infatti mai nulla, in un equilibrio perfetto tra occhio, mente e cuore, che lasciò il segno nella fotografia e nella vita del secolo scorso.
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