Nel corso della storia dell’arte, non c’è stato un artista che non abbia guardato i capolavori dei maestri passati per studiarli e ispirarsi, attratto dalle loro opere o pronti a ripudiarle; e innumerevoli sono i casi di “ripresa degli antichi”, di “ritorno all’ordine”, del “gusto dei primitivi”, tutte etichette associate a stili o artisti delle varie epoche che, in un modo o nell’altro, propongono qualcosa di completamente nuovo, guardando però al passato. Non è da meno Lorenzo Bonechi (1955-1994), nato nelle splendide colline fiorentine di Figline Valdarno, che nel proprio percorso artistico ha trovato nella tradizione disegnativa toscana e nella religiosità delle icone ortodosse i mezzi per esprimere al meglio il suo linguaggio.
A trent’anni dalla prematura scomparsa di Lorenzo Bonechi, il Castello Campori di Soliera ospita, dunque, una mostra a lui dedicata curata da Antonio Natali, direttore degli Uffizi dal 2006 al 2015, e da Giovanni Bonechi, figlio di Lorenzo e artista, nella quale vengono esposte 30 opere capaci di creare un originale percorso tra le diverse fasi della sua ricerca creativa. Bonechi, nella sua breve, ma intensa carriera, esordì tra le file della Transavanguardia a inizio degli anni ’80 prima di approdare e contribuire attivamente alle proposte dell’Anacronismo e della Pittura Colta, movimenti che si ispiravano a citazioni o al recupero di lezioni del passato, che confluirono nel suo stile unico e che gli permise di essere protagonista di esposizioni in alcune delle maggiori gallerie del mondo. Nel 1994 fu chiamato ad esporre alla Biennale di Venezia, ma purtroppo, a seguito della sua tragica scomparsa, le sue opere vennero esposte solamente postume nel 1995, mentre l’anno successivo il Gabinetto dei Disegni degli Uffizi gli dedicò una personale a testimonianza della sua importanza e del recupero della tradizione artistica fiorentina.
Come si può vedere al Castello di Soliera, il linguaggio di Lorenzo Bonechi si inserisce nella «nobile tradizione toscana» come suggerisce Antonio Natali. Nei suoi quadri, nelle sue sculture (purtroppo assenti in mostra) e nei disegni (vera essenza dell’arte fiorentina rinascimentale e non solo), Lorenzo Bonechi propone l’arte del Trecento e Quattrocento, oltre alle icone bizantine, in chiave contemporanea. Un territorio, quello toscano, luminoso di artisti e tra i suoi maestri ispiratori troviamo le «radicali novità del Masaccio (ma non alieno dalle cadenze cortesi di Masolino) e nel contempo ai prolungamenti del gotico di maestri senesi come il Sassetta», come suggerisce Antonio Natali, ma anche il Beato Angelico, Piero della Francesca e le icone devozionali bizantini e ortodosse. Tutti questi modelli vengono fusi nell’arte di Bonechi creando un vago sentore di “già visto”, ma che invece è totalmente nuovo. Un percorso, quello della mostra, dove non si vuol solo dimostrare le abilità dell’autore, ma che è un viaggio anche attraverso la sua religiosità intima. Vicino agli insegnamenti di Don Milani, Bonechi nei suoi quaderni scrive che «l’unica cosa importante sia vivere nella ricerca verso […] chi è stato chiamato Cristo; ma il vero nome è il mistero» e questa sua ricerca, desiderio, di conoscere e rappresentare “il mistero” è ben visibile nelle sue opere, specialmente nella grande tela conclusiva, Conversazione, dove tre donne si ergono in un paesaggio silenzioso e silenziosamente interagiscono tra di loro, tant’è che Alberto Natali descrive questo quadro come una «teofania» riprendendo le parole di Giovanni Paolo I quando, in un Angelus del 1978, disse “Dio è anche madre”.
Lorenzo Bonechi. Il codice del sacro si inserisce nel percorso del Castello dell’Arte, un progetto nato nel 2018 che vede nel Castello Campori di Soliera la sede espositiva per mostre di fotografia e arte contemporanea che diventano «strumenti», come sostiene la sindaca di Soliera Caterina Bagni, «capaci di comprendere meglio il mondo di oggi». Il Castello dell’Arte negli ultimi anni ha portato nella cittadina modenese artisti e opere di altissimo livello, come Arnaldo Pomodoro nel 2020 e Mauro Staccioli l’anno successivo, contribuendo anche ad arricchire il centro storico con imponenti installazioni, tra cui l’Obelisco per Cleopatra di Pomodoro all’ingresso dello stesso Castello.
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