Categorie: Mostre

Lucio Pozzi | Palazzo Ducale, Casa del Mantegna, Studio la Città

di - 2 Dicembre 2019

Ben tre mostre, quasi in simultanea – dall’inizio di settembre sino a dicembre – tra Mantova e Verona, coronano l’ampia evoluzione della carriera di Lucio Pozzi, che deve considerarsi “straordinaria”, proprio in quanto percorre strade e sfere letteralmente “fuori dall’ordinario”. Nessuno come lui ha, infatti, sfidato il successo mettendolo continuamente a rischio e ha reso talmente diverse le sue opere, ogni volta, da spingerle fuori da ciò che si è soliti chiamare “produzione”, solo se si ripete e si rende riconoscibile per una sigla, uno stile, una formula. Lucio Pozzi ha fatto della possibilità di cambiare stile, infatti, la propria sigla artistica per anni, rivendicando un sistema fondato sulla variazione, sull’invenzione e sulla sperimentazione di un’Ars Combinatoria, che ha chiamato Il Gioco dell’Inventario, mantenendo una rotta costante e un’armonia esemplare tra pittura, scultura, performance, installazione.

Questi quattro aspetti essenziali del suo linguaggio artistico sono esposti contemporaneamente, sino all’8 dicembre, in Risonanze/People and Things – una delle più significative mostre dell’artista – curata nell’eccezionale contesto di Palazzo Ducale a Mantova, dal direttore Peter Assmann.  La mostra si è aperta – nel giorno della vernice e in quello dell’apertura al pubblico, il 6 e 7 settembre – con Reading the News, un’esperimento-performance, concepito nel 1998 e ripetuto in varie occasioni, che è stato realizzato seguendo questo protocollo. Seduto su di una sedia, nella Sala degli Arcieri, l’artista ha letto a voce alta per otto ore consecutive, dalle 9.30 alle 17.30 – orario lavorativo canonico – la cronaca dei quotidiani, sostituendo ogni nome maschile e femminile con quelli, impersonali, di Gino Rossi e di Maria Conti, indicando esplicitamente, in questo modo, che intorno allo spazio della mostra, sigillato nel tempo, ruotano gli eventi abituali di ogni giorno. Sotto e intorno alla sedia, una magra provvista d’uva, noci e acqua ha consentito l’approvvigionamento limitato alla durata dell’esperimento, a cui, di tanto in tanto, si accompagnava un intervento musicale e, nello stesso tempo, il cambio cadenzato dei berretti di quattro colori – verde, giallo, blu e rosso – creando una scansione temporale geometrica, che il numero quattro connota anche spazialmente.

Inoltrandosi nella Galleria Nuova, a cavallo dei tiranti che fissano le volte, sopra le nostre teste spunta, fra tele e sculture storiche che segnano il percorso, la distesa visibile d’ambo i lati, di 60 Yards of People and Things (ideato nel 2002), che appartiene stilisticamente alla magnifica famiglia dei Crowd Paintings. Sopra otto lunghe tele dipinte ad acrilico, nero su bianco, fatta eccezione per le quattro macchie di colore verde, giallo, rosso e blu che vi fanno la loro apparizione, si accalcano i corpi stilizzati di esseri umani, oggetti e forme vegetali nella caduta libera di un continuum che evita accuratamente l’organizzazione gerarchica o spaziale, dando la sensazione di un flusso continuo, come uno stream of consciousness, che si rovescia senza far differenza tra i momenti privilegiati e gli altri. Una sorta d’immenso serbatoio d’immagini “reificate”, dove personale e collettivo si collocano sullo stesso piano. Alla moltitudine di frammenti di questa cascata indifferenziata – il corpo smozzicato della storia ? – nella Seconda Sala dell’Alcova, fra dipinti del XVI e XVII secolo, fa riscontro il grande pezzo unico del gruppo Scatter Paintings, dipinto in acrilico, Kerotakis, la Ruota dell’Angelo Mediatore (2014). Sopra un tripudio di colori verde, giallo, rosso e blu, compare un doppio segno nero, allusivo degli strumenti alchemici la cui invenzione si attribuisce a Maria La Giudea, nel cui motto – L’Uno diventa Due, i Due diventano Tre, e per mezzo del Terzo il Quarto compie l’Unità – si può forse riconoscere il riferimento alle trasmutazioni compiute dall’angelo mediatore, qui riferibili al lavoro di Mercurio.

La Casa Rovesciata / House Overturned (2019) chiude il percorso con una magnifica invenzione posta nella maestosa Galleria degli Specchi. Qui la capacità di capovolgere all’interno di una costruzione di quattro metri circa di altezza, imponente e al tempo stesso leggera, l’intera corsa della volta – mantenendo sia il senso di rifrazione divaricata dello specchio che la sua capacità di rovesciamento – tocca l’apice.

Al centro della Galleria, dentro un cubo rosso trasparente – la casa – si rovesciano le linee blu di una forma piramidale capovolta – il tetto – che penetra dentro il cubo. Disponendosi all’interno del cubo il visitatore può sperimentare, come in una vertiginosa folgorazione, tutte le prospettive e le traiettorie contenibili nel suo spettro e in quello della piramide capovolta, grazie alla loro inquieta trasparenza che moltiplica i punti di vista al minimo spostamento. Ancora una volta, al rosso delle aste di legno del cubo e al blu di quelle della piramide, sono aggiunti celatamente i colori del verde e del giallo nelle piastre metalliche dei congegni di congiunzione. Ogni opera di Lucio Pozzi è concepita per dialogare con il contesto e al tempo stesso per venirne trasformata, come è avvenuto anche in questo caso.

L’intervento alla Casa Del Mantegna

Alla Casa del Mantegna è andato in scena, invece, un confronto “astratto-realista” -nell’ambito di un ciclo tematico ideato da Giovanni Iacometti – fra le opere di Lucio Pozzi e quelle della pittrice Lorenza Sannai che gli è compagna, sia nella vita che nell’arte. Le carte di grande formato di Pozzi, appartenenti al gruppo dei Crowd Paintings, con la forza plastica del loro bianco e nero dialogano perfettamente con i dipinti prismatici su tavola, di Lorenza Sannai. Con le loro sfaccettature colorate questi ultimi sembrano infiltrarsi con il piccolo formato e il loro andamento slittante, tra i raggi di luce che penetrano nelle stanze, sottolineando le rifrangenze geometriche tangenti alla magnifica invenzione architettonica del Mantegna, che ha inscritto nel perimetro della sua casa un cortile circolare.

Lucio Pozzi a Studio La Città

La rosa degli interventi di Lucio Pozzi si conclude con una mostra di Scatter Paintings allo Studio La Città di Verona a cura di Marco Meneguzzo, offrendoci l’ultima prova di libertà, freschezza e vitalità di questo candido ottantaquattrenne che ha mantenuto intatta la sua determinazione, la sua innocenza e la sua cocciutaggine, vincendo le maggiori sfide che ha imposto alla propria esistenza. Parlando della pittura Lucio Pozzi ha scritto In qualsiasi delle sue innumerevoli forme essa rappresenta per noi un ponte fra il corporeo e lo spirituale. E’ divenuta una tecnica che nella sua versatilità, come nessun’altra, offre la possibilità di marcare il tempo, le emozioni e il pensiero con l’impronta tattile dell’esistenza.

In una sequenza di dipinti dove i timbri gravi o acuti, si alternano ai formati di diverse dimensioni, intercalando, come in una splendida jam session, le cadenze di ritmi spezzati ed eccitati, di tipo urbano, a orizzonti invece paesistici, la stanza dei disegni, dominata dal senso d’intimità e di poesia, s’inserisce come un adagio, aprendoci alla delicatezza e alla tenerezza. Forse la prova migliore di quanto il lavoro di Lucio Pozzi sia più che mai attuale ce la dà il confronto con i lavori “ricorsivi e mutanti”, come lo stesso artista li definisce, di Jacob Hashimoto nella stanza a fianco. Con i suoi quarant’anni di differenza, il nippo-americano smembra e ricompone le proprie strutture tridimensionalmente, distribuendole su più piani visivi, esattamente come Pozzi riesce a fare, rimanendo fedele, ostinatamente, alla bidimensionalità della superficie pittorica.

Lucio Pozzi, Scatter Paintings, Vista della mostra
Lucio Pozzi – Risonanze / People and Things, vista della mostra Palazzo Ducale, Mantova

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