«Tanto meno si tratta della solita selvaggina che alcuni pittori dipingono per i troculenti cacciatori; ma si tratta di amor: ed infatti è una pernice, dipinta, sembra un angelo, un angelo rivestito con penne; un angelo dai piedini rosa» scriveva Luigi Bartolini in Presentazione della mia pittura del 1940 a proposito di quella Pernice di Montagna che ai Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi apre la mostra Luigi Bartolini. Attraverso il colore, a cura di Manuel Carrera.
Bartolini proseguiva scrivendo qualcosa che suona come un monito attraversando le sale espositive in cui si susseguono l’intimismo domestico, i ritratti, le nature morte, i brani di vita e i paesaggi: «Guardate quanto è bella tale pittura eppoi andate a negare che io non sia un pittore giorgionesco e perfettamente in relazione col tempo moderno».
Maestro nella grafica e prolifico nell’incisione, nella letteratura e anche nella critica d’arte, Bartolini si è espresso in pittura con un linguaggio originale e moderno, in grado di coniugare i soggetti della tradizione con la forza del colore e l’impeto del gesto propri del Novecento. Ed è proprio il Bartolini pittore che il Comune di Macerata celebra nel sessantesimo anno dalla sua scomparsa – anniversario per il quale la Regione Marche promuove un fitto programma di eventi che coinvolge anche Cupramontana, Urbino, Osimo e Camerino.
Sessanta sono le opere in mostra, provenienti da musei e prestigiose collezioni private, che danno vita a un importante momento di analisi e valorizzazione – presieduto da Vittorio Sgarbi e sostenuto dalla figlia Luciana Bartolini – con la ferma intenzione non solo di documentare la profonda cultura figurativa di Bartolini ma anche di far riscoprire i suoi legami con le Marche e far conoscere anche alle nuove generazioni un grande artista marchigiano.
Lasciando «un angelo dai piedini rosa» alle spalle, e procedendo filologicamente e non cronologicamente, ci si addentra negli interni domestici e si incontrano ritratti di familiari e amici che Bartolini realizzò dal 1914 rinunciando al realismo di quegli anni e preferendo una tensione espressionista ecletticamente mitigata da un delicato lirismo che concorre alla definizione di atmosfere rassicuranti. La camera di Anna, per esempio, e Armanda, condividono con la pittura internazionale linee essenziali, colori vivaci, pennellate larghe e materiche avvicinandosi, al contempo, alle secessioni italiane, in particolare quella di Gino Rossi. Non è tutto: Ragazza alla Toletta – valga come esempio di opere eseguite in maturità – svela l’attitudine fauvista di Bartolini, sempre animato da un’ostinata ricerca di coerenza e dalla curiosità della figurazione moderna e sempre contrapponendosi al recupero della tradizione.
Prosegue verso un’ampia sezione dedicata alle nature morte è Bartolini stesso ad accompagnarci alla visione così dicendo: «Ho sempre goduto e nel modo il più sottile, profondo, grande, ineffabile quando ho fatto dell’arte. Ho goduto anche quando ho inciso i topolini morti, le spine di pesce, le farfalle imbalsamate: le cose le più maldestre per gli altri, per me costituirono dei poemi che, ripeto, mi sollevarono in paradiso». Spatola e martin pescatore del 1937, Il tavolo dell’artigiano del 1955, La grande conchiglia del 1960: le nature morte hanno sempre avuto un ruolo di assoluto rilievo all’interno della produzione, sia essa grafica o pittorica, di Bartolini, che sempre rappresentava umili oggetti d’uso quotidiano interpretandoli istintivamente, essenzialmente e con gioia pittorica. C’è molto di personale in questa sala e culmina nella presentazione delle Trote (Le Trote, un’acquaforte del 1934, e Le Tre Trote, un olio su cartone del 1940) così accompagnate: «Caro Bartolini, mi mandi le “trote” (una delle prime copie, ma con un po’ di margine) e vedrò di pagarle al più presto, anche se non il giorno stesso del loro arrivo. Comunque le pagherò “senza dubbio”, e presto, nella solita misura di L. 100. Dopo, disgraziatamente, non potrò acquistarne altro, per lungo pezzo. Vado al di là delle mie possibilità persino con questi due acquisti; ma che vuole? Mi sono innamorato di queste sue cose, e l’amore non ragiona. D’altra parte non vorrei e non potrei mai accettare doni, a meno che non la sapessi milionario, e su ciò siamo perfettamente d’accordo. Buon Natale. Mi creda con amicizia e ammirazione».
A firmare questa lettera, il 14 dicembre 1936, era Eugenio Montale. La sua riproduzione in mostra passa non solo attraverso il colore ma anche attraverso i legami, umani, profondi, che hanno animato e animano la terra marchigiana, paesaggio che Bartolini restituisce con forte impatto emotivo. La realtà che rappresenta è tutta luce e colori in giovane età e soprattutto nella fase matura della sua carriera, significativamente rappresentata in mostra da opere come Periferia e Sera sulla strada sole, presentata alla Quadriennale del 1961. Accanto ai paesaggi, esteriori, l’ultima sala espositiva accoglie anche l‘interpretazione della realtà più interiorizzata di Bartolini. Questi brani di vita quotidiana si offrono impressioni registrate, come di fronte a una Donna Marchigiana o a una Ruota, e poi rielaborate e restituite con colori vivaci e pennellate larghe e materiche.
«Il colore bisogna osservarlo sul vero, bisogna appuntarselo sul taccuino, come faceva Van Gogh, ma non bisogna stenderlo sulla tela al cospetto del vero», scriveva Bartolini nel 1953. Come una vera madelaine, riaffiora alla memoria quel passo proustiano in cui narratore ha trascorso una notte in treno per raggiungere la cittadina di Balbec. A un certo punto, vede profilarsi nel riquadro del finestrino lo splendore rosato dell’alba, che si addensa ben presto in un rosa più vivo e deciso. Ma, non appena la linea ferroviaria cambia direzione, la scena mattutina viene sostituita da un paesaggio notturno: l’altra metà del cielo, infatti, è ancora disseminata di stelle. l narratore è desolato di aver perduto la sua striscia di cielo rosa, quando la scorge di nuovo, «rossa questa volta, nel finestrino di fronte, che poi abbandonò a una seconda svolta della strada ferrata».
«[…] e così passavo il tempo a correre da un finestrino all’altro, per “rintelare” i frammenti opposti e intermittenti del mio bel mattino scarlatto e versatile e averne una visione totale, un quadro ininterrotto», scriveva Proust. «La memoria d’un colore è più forte della verità del colore stesso. Come la memoria dell’amore è più forte e più dolce e cara dell’attimo in cui l’amore si vive», scriveva Bartolini. É così che Luigi Bartolini. Attraverso il colore si fa strumento di una visione che corre dal tempo perduto al tempo ritrovato, dal segno al senso.
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