Superando il livello intuitivo, è evidente che si tratti di una mostra, e immergendosi nell’esperienza, “Luminous Terrain” ha molto a che fare con l’attivazione, la scoperta, il potenziamento, l’interazione umana e il gioco.
Negli spazi di Atipografia, ad Arzignano, le poetiche di Yulia Iosilzon, Grace Mattingly e Guendalina Cerruti sembrano abitare tutti noi, oltre che loro. Irene Sofia Comi, che accompagna la mostra con un testo critico, scrive: «I lavori che costituiscono la mostra “Luminous Terrain” mostrano situazioni inattese, evocano sospensioni emotive, suscitano nell’osservatore interrogativi. Rifacendosi alla tradizione animista, in cui tutto – vivente o non – prende vita come un organismo, Cerruti, Mattingly e Iosilzon sintetizzano nelle loro ricerche termini solitamente concepiti in opposizione, spingendo ciascuna semantica oltre i propri confini. Sogno e realtà, archivio visivo individuale e memoria collettiva, leggibilità e mistero».
A proposito del sogno, Marcel Proust narrava che «Se sognare un po’ è pericoloso, il rimedio non è sognare di meno ma sognare di più, sognare tutto il tempo». Scelgo Proust non casualmente: dalla memoria dell’infanzia inizia quel viaggio, quella promessa di felicità sulla quale costruì il suo capolavoro, “Alla ricerca del tempo perduto”. Cerruti, Mattingly e Iosilzon, seppur ognuna secondo un’estetica e con una concettualità differenti, riportano l’animo al sogno, incontrandosi in una dimensione fiabesca e fantastica che, liberandosi da qualunque definizione narrativa o finzionale, sembra dirci che a nulla serve razionalizzare l’animo e tenerlo lontano da quel momento in cui si trova a cavallo fra due mondi, quello della realtà e quello del sogno, in equilibrio su un filo che pende alternativamente su un lato e sul suo opposto.
Sembrano venire proprio da lì, da quel punto che è immediatamente precedente a quello del non ritorno, le porzioni di mondo che Guendalina Cerruti propone in estetica installativa. In bilico tra realtà, rappresentazone e immaginazione, le opere di Cerruti attingono a un immaginario infantile, alla cultura popolare, al glamour della moda e al linguaggio digitale. Esempio, straordinario, è Light Bouquet, una scultura solitaria che, visibile da più angolazioni, assume la sembianza di una composizione floreale – formata da lampadine a LED colorate, che di solito decorano gli alberi di Natale – ma anche di una lampada casalinga, sospesa dal soffitto, e di un capo di abbigliamento, piuttosto che un paralume, per i bottoni a pressione che ne chiudono la superficie in plastica traslucida.
Come quest’opera, anche Beaded Tower e Museum Tower, due torri che si stagliano al centro del percorso di “Luminous Terrain” ci conducono nel personale universo mentale di Cerruti. Delle due sculture gemelle l’una è decorata a mano con perline in plastica colorata, disposte in file cromatiche, l’altra è rivestita di pannelli in alluminio forati in corrispondenza di ideali finestre-scorcio da cui affiorano altre opere dell’artista riprodotte in miniatura fotografica. Sicuramente di derivazione duchampiana, l’operazione di Cerruti è enigmatica e carica di significato, ma costudisce i suoi segreti. Autobiografici e collettivi, indistintamente.
Squarciando il reale, con Cerruti, il velo di Grace Mattingly è finzionale, interamente giocato sul piano dell’immaginazione. Anche lei attinge alla cultura popolare, con un’attenzione particolare alla narrazione favolistica. Nelle opere esposte, come Rehearsal o Iridescent Horse (Blue Glitter), Mattingly isola elementi riconoscibili, come per esempio animali, e li ricontestualizza in paesaggi mistici e intimi, innescando nuove narrazioni a più livelli con cui rielabora gli archetipi infantili, che assorbiamo attraverso le favole e i sogni, nelle prime fasi di costruzione dell’ identità. Emblematici, e sicuramente rivelatori, sono i lavori Pink Landscape (Snake and Boot) e Blue Landscape (Horse Journey). Dico rivelatori perché i colori che predominano, qui come in altre tele, sono il blu e il rosa. Non dunque e non soltanto due colori, ma quelli che hanno definito i due periodi picassiani da cui è impossibile prescindere.
Picasso, si sa, per un certo periodo dipinse unicamente scegliendo le diverse sfumature del blu, dal valore fortemente simbolico, quasi un valore aggiunto al soggetto dichiarato. Egli gli attribuiva una dimensione sacra, che gli permetteva di guardare in faccia la miseria, la sofferenza e la morte, sublimandole nel blu. Dal 1904 poi Picasso schiarì sempre di più la propria tavolozza, passando al periodo rosa ed esprimendo una visione in qualche modo più ottimista del mondo – seppur non ancora libera dall’aura malinconica del vicino passato – secondo una fisiologica evoluzione graduale.
Le figure di Mattingly, pur in pose fanciullesche, hanno qualcosa di sinistro, sviluppando anche una carica al limite tra la sensualità e l’innocenza, che si ritrova anche nei lavori di Yulia Iosilzon, persi in una figurazione selvaggia per esplorare temi come l’identità, la memoria e la condizione umana, in bilico tra individuo e società. Iosilzon ricorre frequentemente alla ripetizione di simboli e metafore, creando uno spaesamento interpretativo funzionale alla visione, resa possibile dall’energia che ogni segno contiene. Astratto e figurativo si confondono al punto da far perdere ogni certezza e ogni definizione. In opere come Pink Tweed Skies, Caterpillars o Unicorn sono esseri ibridi ad abitare lo spazio allegoricamente e simbolicamente, con fare mitologico e niente affatto decorativo, strato dopo strato – dal punto di vista formale Iosilzon dà diverse stesure di colore su una tela in tessuto trasparente talvolta visibile a uno sguardo ravvicinato.
“Luminous Terrain”, nella sua totalità esperienziale ci ricorda – a proposito del sogno – che il nostro stesso risveglio, quando mettiamo a fuoco la nostra identità e il nostro presente, dopo il vagabondare nel sonno, è un vero e proprio percorso di riconoscimento. Così, allora, i frammenti di storie più ampie di Iosilzon, le creature di Mattingly e i mondi di Cerruti, con un pizzico di nostalgia e altrettanta leggerezza, sono integrali alla realtà: ne ricamano i luoghi, le persone e gli oggetti, perfino i più desueti.
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