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Ma che ne sanno gli altri: Ernesto Terlizzi, MANN – Museo Archeologico di Napoli
Mostre
In mostra al MANN – Museo Archeologico di Napoli un corpo di 20 opere di Ernesto Terlizzi realizzate su carta thailandese kozo martellata con cui l’artista ci racconta tra presente e passato, tra cielo e mare il dramma degli emigranti del Mediterraneo attraverso l’inconfondibile segno rigoroso del bianco e nero. Con questa mostra Terlizzi chiude de finitamente il ciclo di opere dedicato ai profughi iniziato nel 2013, proprio dieci anni fa con la personale “Apologia della superficie” presentata allo Spazio Tadini di Milano.
Quello dell’emigrazione e dei profughi del Mediterraneo su cui l’artista salernitano ha rivolto da diverso tempo l’attenzione rimane un dramma sempre più complesso e difficile da risolvere nell’immediato prossimo, con ripetuti e infiniti traghettamenti di vecchie carrette arrugginite e di notturni al nero di luna dentro le oscure ali della speranza, di linee d’ombra e di teste nascoste dall’onda a scrutare un possibile approdo. Che ne sanno gli altri dei sogni negati che spesso sì infrangono alla deriva prima di sparire sotto una coltre di gelide onde di acqua di mare? Il Mediterraneo è stanco di corpi muti lasciati ad asciugare in superficie, di sogni sommersi che celano troppe ferite non più rimarginate, di attraversamenti fugaci che lasciano tracce di speranze impedite dal nostro tragico esistere.
L’arte come la poesia richiede la necessità di sintesi capace di evocare il mondo e divenire essenza e riflessione. La ricerca pittorica di Ernesto Terlizzi, apparentemente aniconica, ha la capacità e la forza di suggestionare e indurci, appunto, alla riflessione con la leggerezza di una piuma e con la visionarietà di memorie lacerate e stravolte che colloquiano con i fantasmi della storia – come scrive Marco Di Capua nel testo di presentazione – «nell’incessante farsi e disfarsi della rappresentazione e della vita, l’urgenza di innestare e fondere i frammenti e schegge di un presente drammatico in uno spazio-tempo remoto, immemoriale». Si direbbe, una visione estetica improntata a evocare la forma e gli eventi di un immaginario collettivo nata cinquant’anni fa da iniziali presupposti informali e costantemente rinnovata nel tempo per approdare oggi a una felice sintesi creativa capace di mettere in relazione la storia e il presente, il passato con la realtà dei problemi di oggi.
Un colloquio sottile e fluido tra ciò che è e ciò che è stato, tra storia e contemporaneità. Confrontarsi con la storia non è di facile soluzione, molto spesso può diventare, se non sentita, una vera punizione. Non è un caso se in queste sue magnifiche carte vi è l’ossessiva e meditata presenza del puttino alato della pittura pompeiana con in mano un fiore, preso in prestito dall’opera Menade e Amorino, ritrovato a Pompei nella Casa di L. Cecilius lucundus e presente da tempo al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Una sorta di omaggio a questo straordinario museo, luogo di memoria e anche di riflessione dei perenni drammi dell’uomo. Un ricordo, il suo, latente, allungo celato; da quando da giovane studente frequentava il liceo artistico e poi l’Accademia di Belle arti di Napoli a due passi dal museo. Un puttino davvero fascinoso dall’animo gentile che improvvisamente si è destato dal torpore e dalla memoria di un tempo, sospeso tra cielo e mare ora vola sul Mediterraneo come segno propizio di speranza e di futuro.
Il valore di un’opera si nutre del bisogno impellente che l’artista sente per essa, una necessità esistenziale che non può far a meno di trattare. Quello di Terlizzi è decisamente un colloquio sentito con la storia, tra passato e presente, tra condizione di sofferenza e speranza in cui la sintesi creativa ha il sopravvento sul dato provvisorio e formale incarnando generosamente dalla catastrofe la rigenerazione e la rinascita della visione. Puntuale è la lettura critica che ne faceva qualche anno fa il curatore e storico dell’arte Alberto Dambruoso, che sottolineava una visione creativa di forte impatto emozionale, sempre in divenire tra natura, uomo e storia, in un incessante incontro/scontro degli opposti tra materia e segno, buio e luce, pieni e vuoti capace di relazionarsi intimamente tra loro e ricreare visioni evocative e poetiche altamente allusive e dense di suggestioni.
Una rappresentazione decisamente evocativa e altamente emozionale che nasce da un bisogno impellente di indagare i luoghi oscuri e inascoltati della mente con un linguaggio volutamente minimale, innestando lacerti e fantasmi di apparizioni e dissolvenze, frammenti concreti materici e nel contempo anche una sottile leggerezza in un apparire in bilico tra un teso e inquieto equilibrio. Un continuo e incessante farsi e disfarsi di presenze tra ordine e caos alla ricerca di conciliare le contraddizioni in una e più definita rappresentazione. Una sorta di interminabile e continuo affioramento e sprofondamento delle immagini tra i meandri oscuri del presente interrogandosi sul cammino di ognuno di noi e fors’anche per farci riflettere meglio sul nostro precario e provvisorio destino.