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Ogni tanto il look tocca rifarselo, optando magari per un vintage di qualità, quella mise molto cosmopolita lasciata per troppo tempo sotto naftalina. Parliamo di Villa Croce, pronta a partire con “Make It New! Tomas Rajlich e l’astrazione in Italia”, retrospettiva confezionata sartorialmente attorno alla figura dell’artista ceco. Curata da Cesare Biasini Selvaggi assieme a Flaminio Gualdoni, e realizzata in collaborazione con ABC-ARTE, aprirà al pubblico dal 4 maggio al 22 agosto.
Il titolo parla da solo, e la dice già lunga su quanto questa mostra non sarà esclusivamente incentrata sulla figura di Rajlich. Ma non in che modo. Voi piuttosto vedetela così, come l’unica forma di assembramento possibile allo stato attuale delle cose; un assembramento ragionato, pungente e a tratti imprevedibile, di artisti per buona parte provenienti dalla collezione permanente del museo genovese. Proprio lì, poiché l’unione fa la forza, ognuno contribuirà a raccontare modi, temi e tempi dell’epopea nazionale – con apertura internazionale – astrattista.
Fin qui il nostro l’abbiamo fatto, la smania di sapere cosa combinerà un Rajlich che incontra – e vi facciamo un infinitesimale selezione badate bene – Consagra, Dadamiano, Melotti, Manzoni ve l’abbiamo messa in testa. E pur riconoscendo d’essere odiosamente ermetici vogliamo comunque bene ai nostri lettori, che saluteremo con una brevissima intervista around and beyond Rajlich, rilasciate per noi da Anna Orlando, Advisor per Arte e patrimio Culturale del Comune di Genova.
In Make It New! Rajlich incrocia parte della collezione di Villa Croce. Lei che è del mestiere, quanto crede sia importante in termini espositivi mantenere vivo un confronto/dialogo tra artisti, strettamente affini o meno che siano?
«Ci tengo innanzi tutto a ricordare che è stato lo stesso Rajlich a volere questa mostra-dialogo, dopo la sua visita al museo nell’estate del 2019, quando è rimasto colpito dalla ricchezza della collezione permanente del museo d’arte contemporanea di Genova. Ha senso quindi rispondere alla domanda in un modo più generale e in senso più specifico.
In generale l’arte è sempre un dialogo: con il passato, con il fruitore, con sé stessi stimolati dalle domande che in particolare l’arte contemporanea ci pone. Quindi è quanto più sensato anche dal punto di vista culturale e certamente l’affinità o meno ha poco importanza. Anzi, talvolta proprio dai contrasti scaturiscono i contributi più interessanti in ogni campo della cultura.
Per rispondere nello specifico, poiché Villa Croce ha una collezione importantissima che non è esposta in modo permanente perché è anche la sede di una serie incalzate di mostre, è doppiamente importante l’occasione che ci ha proposto Rajlich per poter di mostrare al pubblico almeno una selezione dei lavori più significativi del museo».
L’astrattismo è stato un contenuto virale ben prima del social sharing. Potere della pittura in sé, che si conferma sempre più “lingua viva”, o di artisti come Rajlich, che evidentemente l’hanno saputo ben assimilare e gestire?
«Entrambe le risposte sono corrette. Così come il libro non scomparirà nonostante la rivoluzione digitale, altrettanto la pittura continuerà a essere una delle forme d’espressione artistica che sarà sempre capace di convivere e “dire la sua” in contesti di rinnovamento dal punto di vista dei media e delle forme d’arte.
La raffinatezza intrinseca all’opera di Rajlich è a mio avviso tale da poter “arrivare” al suo interlocutore, specialista o no che sia, non solo perché si tratta di pittura e quindi di un linguaggio tradizionale e potenzialmente più “facile” di altri. Rajlich ha saputo porsi su una via maestra – quella dell’astrattismo – dando il suo contributo di ricerca personale, con una sua identità riconoscibile e soprattutto con qualità. E la qualità è un concetto trasversale a qualsiasi categoria. Rajlich lo testimonia».