16 maggio 2021

Margine: la mostra conclusiva della residenza artistica all’Hotel Torre Guelfa

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“Margine” è il progetto di residenze artistiche a cura del collettivo Eterotopie Dissidenti: sette artisti per sette stanze dell’Hotel Torre Guelfa, nel cuore di Firenze

Màrgine s. m. (ant. f.) [lat. margo -gĭnis, m. e f.]. La parte estrema ai due lati, o tutto intorno, di una superficie qualsiasi. Ma anche: al limite, in una posizione di confine, in una situazione che non è più o non è ancora quella di riferimento. Margine è un non-lieu, un punto sospeso, un confine che segna una demarcazione fra questa e l’altra cosa, fra interno ed esterno, fra ciò che è e ciò che sarà. “Margine” è il titolo scelto per la mostra frutto dei tre mesi di residenza artistica (gennaio – aprile 2021) all’interno dell’Hotel Torre Guelfa, nel cuore del centro storico di Firenze, al terzo piano del trecentesco Palazzo Acciaiuoli.

Un’esposizione nata dalla volontà del collettivo Eterotopie Dissidenti, fondato a Firenze da Corso Zucconi, Asia Neri e Gianluca Braccini nel settembre 2020, con l’obiettivo di dare vita a un’occasione di incontro e di collaborazione fra giovani artisti.

Margine è anche un’eterotopia, un termine che Michel Foucault conia per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano». Eterotopia per eccellenza, per il filosofo francese, è anche la stanza d’albergo, e proprio in questo luogo, un hotel chiuso a causa dell’emergenza covid 19, le singole stanze sono state temporaneamente trasformate in atelier d’artista, concesse a titolo gratuito al giovane collettivo dai proprietari, la famiglia Zucconi.

In un momento storico del tutto eccezionale, in cui troppo spesso le istituzioni e le amministrazioni non riescono a dare spazio né sostegno agli artisti e al mondo della cultura, il margine che in questo genius loci si è instaurato è anche un rapporto in bilico fra ciò che accade fuori, nella Firenze storica e storicizzata, e dentro, nel vortice creativo e sperimentale che vuole urlare alla città, e parlare alla società di arte contemporanea.

Una coraggiosa azione estetica che esprime dissidenza, senza dubbio, ma che allo stesso tempo porge una mano in avanti verso il dialogo e lo scambio con la realtà contingente, in un tempo sospeso e liricamente astratto come quello che l’emergenza sanitaria ha decretato. Sette artisti, tre uomini e quattro donne, selezionati tramite un bando pubblico: Gianluca Braccini, Giovanni Bonechi, Claudia di Francesco, Lilia Garifullina, Silvia Muleo, Jonathan Soliman, Sofia Talanti e un team di giovani professionisti provenienti in gran parte dall’Accademia di Belle Arti di Firenze che ha sostenuto il progetto.

Ognuno dei giovani artisti, in media venticinquenni, ha abitato per questo periodo una delle stanze dell’hotel trasformandola in una installazione site specific in cui dare vita alla propria arte in forma libera e sperimentale. Sette artisti e sette stanze, ognuno con il proprio peculiare linguaggio, e un piano di un palazzo in cui si trovano anche luoghi di collaborazione e incontro, dove l’arte trova una via d’uscita dalle sue quattro mura e in cui il paesaggio si abita diventando punto di forza del collettivo: i corridoi.

Gianluca Braccini

Nei corridoi dell’albergo, come in una tela di ragno invisibile, ha luogo la narrazione collettiva e la contaminazione, una voce corale e plurale che sintetizza l’incontro e il fertile scambio di questi mesi condivisi in questa iper realtà sospesa.

La sintesi che una residenza impone emerge anche nel Salone principale in cui la prima parte della sala è allestita con sette teli bianchi dipinti ognuno da un artista, cadendo delicatamente dall’alto e lasciando libero un corridoio che conduce al palco superiore. Una sorta di quinta teatrale che ricorda la funzione originaria del salone in epoca ottocentesca ma anche passaggio ad un’altra dimensione, in cui per un po’ di tempo ci si può dimenticare di ciò che avviene fuori, nelle strade deserte e nel silenzio assordante di una Firenze svuotata dai turisti, per addentrarsi in una meta-realtà fatta di segni vivi e vididi, e di voglia di mettersi in gioco.

Lilia Garifullina

I teli non mostrano che tracce, segni monotipici e gestuali, impronte monocromatiche distinte e chiavi di lettura che introducono alla singola ricerca di ognuno degli ospiti. La seconda installazione collettiva visibile nel Salone è Ananké, Colei che è necessaria, composta da sette vasi canopi disposti in cerchio su un tappeto di terra. Ogni vaso custodisce l’ananké di ciascun artista. In queste urne-reliquari, identiche per dimensione e forma a simboleggiare l’unione creativa, ogni artista ha lasciato un oggetto, un segno simbolico, a rappresentare il proprio viaggio all’interno di questa esperienza di residenza.

Ananké è necessità, ma anche destino e fato, un termine greco che ci ricorda il rito del passaggio e la memoria di ciò che portiamo con noi. In questa installazione si incontrano gli opposti: gioco scherzoso, fluttuante e leggero con la gravità e la pesantezza della terra e dell’oggetto urna.

Silvia Muleo

Un’opera che sintetizza il percorso collettivo degli artisti e che vuole lanciare al visitatore un messaggio e un senso di appartenenza: simboleggia la fine di un ciclo, di un’esperienza, ma allo stesso tempo apre le porte a una nuova fase. La Nigredo, passo iniziale della complessa fase alchemica, in questo caso è opera al nero che si prepara a una grande rinascita, quella artistica, e che pone alla società intera grandi interrogativi e responsabilità: quella di distogliere le città dal loro sonno.

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