-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Mario Ceroli, la forza inattuale del sogno: la mostra a Palazzo Citterio
Mostre
La figura dell’artista, per sua natura, non può che essere percorsa da costanti e infiniti processi di trasformazione. È poroso, assorbe la realtà circostante per costruire il proprio universo. L’artista deve riempirsi per poi vuotarsi e rivuotarsi costantemente per poi riempirsi e vuotarsi di nuovo – per riprendere quanto Gertrude Stein ha detto a proposito di Picasso. Assorbire e rilasciare, fagocitare, ingerire, e digerire, rielaborare e smaltire il mondo, attraverso lo sguardo dell’arte.
Quegli stessi processi che, ovviamente, intervengono all’interno delle opere: assumere uno stato della materia per mutare la sua natura da oggetto a icona; perdere la dimensione fisica per inserirsi come spiritualità; non entità originali (e originarie) ma frutto di quella stratificazione concettuale della storia che porta le stesse opere a essere ciò che sono. Una visione strutturalista che, in un certo modo, riesce e può riuscire a descrivere quel complesso marasma di stimoli, pensieri, concetti, operazioni che è il processo di creazione artistica.
Meta-temporale, meta-fisico, tuttavia, l’artista deve scontrarsi apertamente con la prospettiva critica che interviene sulla sua opera – per inciso, più la critica scompare più la stessa autonomia e assolutezza dell’artista vengono messe in crisi tendendo alla sparizione. Prospettive e critiche parziali, altrettanto valide, si intenda, che però rischiano di cadere nel solipsismo e nel fraintendimento – insomma, nella speculazione. È questo il caso di Mario Ceroli. Nella Sala Stirling del neonato Palazzo Citterio, a Milano – per chi non lo ricordasse, l’estensione fisica programmatica della Pinacoteca di Brera nella Grande Brera – La forza di sognare ancora, curata da Cesare Biasini Selvaggi e in corso fino al prossimo 23 marzo, punta a inaugurare una nuova rilettura sull’artista.
Accostato in parte all’Arte Povera, in parte alla Pop Art di Louise Nevelson e Joe Tilson, in parte a un massimalismo vicino alla Transavanguardia, la complessità di Ceroli deriva dall’essere riuscito a esprimere costantemente lo spirito del proprio tempo (quel tanto ricercato zeitgeist) attraverso una profonda rilettura dei codici dell’arte occidentale.
Eternamente inattuale, estremamente contemporaneo, Ceroli viaggia come un bambino alla scoperta del mondo, mosso dall’eterna ricerca della contemporaneità. Ed è proprio per questo che la mostra di Palazzo Citterio comprende lavori site-specific, realizzati nell’ultimo anno appositamente per lo spazio. «Un’opera-ambiente», come la definisce Cesare Biasini Selvaggi, in cui «Un palcoscenico di 10 installazioni-sculture autonome» mostra l’attualità e l’impermanenza di questa ricerca costante, mai interrotta.
La Mia Vita (2024), 28 elementi irregolari disposti senza un ritmo preciso, si intreccia con Venezia (2024), 62 tronchi di pino prelevati dal giardino dell’artista come omaggio alla città che l’ha accolto nel 1966 durante la Biennale di Venezia (che ha sancito la sua, precoce, fama), e con La Barca di Caronte (2024), una barca in lamiera di rame contrapposta, a parete, a Non roviniamo la terra (2024), sempre in lamiera. Ancora, a parete: Mare Nostrum (2024) e Guardami (2024) una serie di tre elementi in legno e lamiera, monumentali sculture, ferite nel legno e nel ferro, due Senza titolo (2024), fragili opere, rispettivamente su carta e tela acquarellate con rami e pigmenti che simboleggiano l’osservazione della trasformazione dell’ambiente e dell’ecosistema.
Le opere si associano tra loro per sinestesie, ragionando attraverso le consistenze che ciascuna di loro sembra assumere. Il pesante – materico, rigido, testimoniato dal legno – si oppone al leggero – le grandi tele acquarellate, i rami. Un contrasto che appare nella natura stessa delle singole opere: monoliti appesi a parete sembrano levitare sospesi; le lastre, arricciate, di rame, sembrano foglie secche, quasi impalpabili.
Ed è questo gioco astuto di materiali e prospettive che costituisce, profondamente, un nuovo e inedito punto di vista sull’intera vita dell’artista. Non è esattamente corretto parlare di una rivoluzione, perché, infatti, si tratta semplicemente di uno spostamento, un nuovo punto di vista – critico e curatoriale, ma anche poetico – per cui in uno spazio limitato, con poche ma essenziali opere, Ceroli ridisegna i confini del proprio, peculiare, immaginario. Intimo e personale – come quegli alberi prelevati dal suo giardino per Venezia – permette di costruire una narrazione universale che spazia dal tempo, da una nuova ecologia (ed eco-mitologia come l’ha definita Biasini Selvaggi), dalla religiosità… per arrivare alla costruzione di un «Nuovo umanesimo planetario», un nuovo «Classicismo mediterraneo».
Per concludere, quella di Palazzo Citterio è una mostra che mostra esplicitamente le sue intenzioni: porsi sul confine spericolato del sogno. Ceroli dichiara, senza troppa esitazione, che è nel sogno, e solo nel sogno, che possiamo scoprire l’abisso infinito della complessità e della profondità stessa della nostra vita, inevitabile forma di felicità, ma anche fardello e supplizio. Solo noi spettatori, invece, possiamo sapere quanto, oggi, possa servire superare i limiti del dicibile, dell’esistente, dell’intimo e del pubblico; cosa dire, cosa non dire, cosa fare e cosa, effettivamente, essere. Dopotutto, tutto ciò che ci resta, dopo aver attraversato questo percorso emozionante, è La forza di sognare, che l’artista ha impresso sulla pietra all’ingresso del suo studio – qui, ed ora, ancora.
La mostra è accompagnata da una pubblicazione edita da Metilene edizioni, con la riproduzione di tutte le opere esposte e i saggi di Angelo Crespi, Direttore Generale, Pinacoteca di Brera e Biblioteca Nazionale Braidense, Cristina Mazzantini, Direttrice, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, e Cesare Biasini Selvaggi, oltre a un contributo dello stesso Mario Ceroli. Il catalogo è stato sponsorizzato da Banca Ifis.