Sulla definizione di “disponibile quotidiano”, immaginata dallo scrittore, traduttore e regista Gianni Celati, si dipana la matassa dell’esposizione Terreno. Tracce del disponibile quotidiano, che attraversa le sale del Museo Maxxi a Palazzo Ardinghelli di L’Aquila, guidando il visitatore in un percorso dedicato al “non visto”: scene, paesaggi e gesti del mondo di ogni giorno, che spesso passano inosservati. Diventa così fondamentale riuscire a riscoprirli, cogliendone il valore e rivelando nuovi, possibili significati.
Il terreno è qui indagato come risultato del processo di stratificazione: legandosi ai concetti di memoria e materialità, evocati dalle opere e dai manufatti in mostra. In una dimensione di costante innesto, si tracciano corrispondenze tra storie e oggetti apparentemente vicini, tra ordinarietà e tradizione, tra documentazione storica e invenzione: nascono così racconti e storie, non esemplari e non paradigmatiche ma fluide e mutevoli.
Nelle sale del museo convivono, in un serrato e immaginifico dialogo, opere delle Collezioni del Maxxi, un ampio numero di manufatti, documenti in prestito dal Museo delle Civiltà di Roma e una nuova produzione dell’artista e compositrice Ramona Ponzini che ha realizzato un ambiente sonoro che abita tutto il percorso di mostra e che, in occasione dell’opening, è oggetto di una performance in collaborazione con gli studenti del Dipartimento di Musica Elettronica e Nuove Tecnologie del Conservatorio A. Casella dell’Aquila.
«Con questa mostra il museo si propone di valorizzare il passato, il presente e il futuro del territorio – spiega Francesco Stocchi, Direttore Artistico del Maxxi – offrendo uno spazio di sperimentazione in grado di potenziare i servizi culturali della città volta a indirizzare verso un approccio sempre più accessibile ai vari pubblici».
Tutto questo attraverso l’apparentemente semplice “disponibile quotidiano” che, come spiega la curatrice Lisa Andreani, rappresenta «La ricerca del non visto, del registro basso, di ciò che viene dato per scontato», che come scriveva Celati viene «Restituito in questo progetto da un orizzonte periferico, dalla densità minerale delle cose e della terra, da un senso di meraviglia che non per forza si racchiude in qualcosa di straordinario». Ma più che restituire uno scrittore, la curatrice ha voluto «Enfatizzare un tono che ci possa riportare a cogliere una ‘vecchia-nuova’ consistenza delle cose, di ciò che è terreno, sacro o immaginato, fatto storico o apparente. Esplorando diversi linguaggi e pratiche, oltre che restituendo anche alle cose del quotidiano la propria agency, ho voluto avvicinarmi ad un mondo meno volatile e più ‘volatore’: fatto di voci, conversazioni, plurale e aperto al pubblico e alla sua parte di narrazione».
L’esposizione si presenta al visitatore, già dallo scalone di Palazzo Ardinghelli, con la scultura sonora Down-hole, realizzata per l’occasione da Ramona Ponzini, che converte in suono i dati geologici forniti dall’Università degli Studi dell’Aquila restituendo la musicalità della stratificazione del terreno. L’opera, che si diffonde lungo tutto il percorso, invita a entrare in connessione con le opere e gli oggetti presenti nelle sale esplorando le storie che custodiscono, a volte, pur nella loro semplicità.
Così il gruppo di cesti di diversa provenienza, prestito del Museo delle Civiltà, ospitato nella prima delle grandi sale del Piano nobile del museo insieme a piccole fiscelle in ginestra abruzzesi utilizzate per la produzione della ricotta, è posto in relazione con Dinosaurus, una grande forma di pane con l’aspetto di un dinosauro realizzata da Ezio Gribaudo che, con una tecnica povera ma solida come la panificazione, elabora il tema della memoria evocando un passato pre-umano. L’opera è in risonanza con le parole con cui l’artista Franco Assetto descrive il pane come un oggetto scultoreo. Abitano ancora la sala i paesaggi e le figure potenzialmente extra-terrene immortalate negli scatti di Moira Ricci che inducono il visitatore a indugiare con lo sguardo su paesaggi ricchi di sfumature e stratificazioni, le stesse che troviamo nel romanzo Missitalia del 2024 di Claudia Durastanti.
La Sala della Voliera, cuore del museo, ospita opere di Marco Schiavone legate all’affascinante e misterioso fenomeno delle coppelle, forme grafiche incise nel terreno presenti in diverse parti del mondo, la cui conformazione è documentata attraverso dei frottage realizzati tracciando su carta da spolvero il rilievo delle pietre incise e qui presentati. La pluralità di lettura del concetto di terreno si esplicita intorno alla figura del vulcano, quale metafora di energie affettive, popolari e magiche, attraverso un’ampia ed eterogenea selezione di materiali. Dalle testimonianze dei progetti che Enzo Mari e il collettivo Continuum proposero per la trasformazione del Vesuvio in un Parco Culturale Internazionale, come richiesto dal progetto curatoriale di Pierre Restany Operazione Vesuvio, a un articolo dedicato al Museo Immaginario delle Isole Eolie allestito da Bruno Munari nel 1955 a seguito dell’esplorazione di un sito archeologico abbandonato.
La sala successiva presenta il pavimento in materia vulcanica composto dalla serie di piastrelle ExCinere® con cui Formafantasma interpreta la tradizione della lava vulcanica come materiale da costruzione e la manifestazione dell’attrazione viscerale tra l’uomo e il vulcano.
Sparse lungo il percorso opere che amplificano la possibilità di declinazione del concetto di terreno al quale appare, ad esempio legato anche quello di rituale indagato attraverso tre film: Cerimonia, presentato alla Triennale di Milano del 1973, da Superstudio che pone il rituale al centro della ricerca architettonica; Faux départ (False Start) dell’artista franco-marocchina Yto Barrada che svela il cerimoniale produttivo di fossili falsi e Rice di David Blamey che riprende i poetici gesti ripetuti dai contadini nelle risaie in India. La matericità dei gesti legati alla terra torna anche nel rapporto con la parola di Luciano Caruso nella serie L’origine della scrittura del 1995. Così come traspare dal lavoro di Gianfranco Baruchello con Agricola Cornelia S.p.A., progetto artistico, economico, zootecnico e agricolo sviluppato tra il 1973 e il 1981, richiamato attraverso un gruppo di opere in mostra che mettono in luce la dimensione entropica del periodo trascorso in questo contesto rurale.
A tutto il percorso è sottesa una dimensione di delicata ironia come strumento di relazione fra le opere e di lettura del quotidiano costantemente evocato: i Fossili del 2000 di Bruno Munari – manufatti quasi preistorici e moderni in cui conservare le ultime tracce tecnologiche dell’uomo sul nostro pianeta – sono posti davanti agli amuleti del fulmine e sembrano illustrare un’archeologica dimensione di conservazione di potenziali strumenti fantastici; la seduta del Pratone di Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso condivide lo stesso animo pop-popolare dei Fiorellini di Nico Vascellari; l’opera di Shimabuku, Onion Onion, genera un immaginario semplice in cui costellazioni celesti prendono forma da cipolle; la serie di coltelli Del taglio di Luca Trevisani ricorda forme di animali che siamo soliti mangiare o tagliare e innesca una rilettura delle possibili interpretazioni di questo oggetto funzionale. Chiude il percorso Previsioni del tempo di Luca Vitone che con il suo titolo lascia il visitatore incedere nella riflessione su quanto osservato, esperito e ascoltato.
Per un percorso espositivo multidisciplinare che, prendendo ispirazione dal “disponibile quotidiano” di Gianni Celati, mette in relazione materialità e memoria, avvicina tradizioni culturali e pratiche artistiche, documenti storici e pratiche quotidiane, generando nuovi e aperti immaginari collettivi.
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