Irene Macalli, Archivio rurale - Un muro di terra, Capnapoliest, veduta dell'installazione, Napoli, 2025
Al centro di un capannone industriale, ora spazio d’arte e di ricerca contemporanea, nella periferia urbana di Napoli, campeggia una baracca di legno, lamiere e mattoni di terra. Al suo interno, su un blocco di marmo dalle venature blu lapislazzulo, si legge l’incisione “Il blu delle montagne è il loro mare”. Si tratta dell’installazione Archivio rurale – Un muro di terra, che la giovane artista Irene Macalli ha realizzato nel grande spazio di Capnapoliest, animato e curato, dal 2021, da Vera Vita Gioia, nel quartiere di Barra. La ricerca di Macalli inizia nel 2023 dopo un Erasmus tra Mardin, Midyat, Hasankeyf, Diyabakir e Istambul, che la porta a interrogarsi sui luoghi di confine, al limite dello spopolamento, come le zone rurali tra il Sannio e il Molise.
«Non c è il mare a Petraroja ma ci sono le montagne», dice Irene durante la nostra chiacchierata e, in effetti, quel moto ondulatorio si intravede non solo nelle venature del marmo ma anche nelle lamine della baracca da cui provengono voci che raccontano storie, frammenti di vita recuperati dall’artista durante quella che è stata una presenza antropologica in questi territori.
Tra le fessure dei mattoni di terra, realizzati uno a uno da Irene, trovando il giusto incastro in modo che ognuno sostenesse l’altro, si intravede la fotografia sfocata di una donna in una piantagione, testimonianza di una di quelle persone incontrate dall’artista che ha deciso di restare nel paese. Nei video in mostra si ripercorre, attraverso frammenti temporali catturati dall’artista, il periodo trascorso a Petraroja – tre settimane tra agosto e settembre 2024 – quando l’artista ha realizzato il laboratorio partecipato Ccà sotto ‘nun ce chiove. L’arte come riscatto sociale nei piccoli comuni, per la realizzazione di una installazione site specific: una bandiera lavorata a più mani, con l’aiuto delle signore del paese.
«Volevo realizzare – continua Macalli – una grande bandiera bianca, cucita a mano, da issare nel punto più alto del paese, in contrapposizione alle bandiere arancioni che premiano i borghi più belli d’Italia, lasciando indietro i paesi in via di spopolamento».
In quest’opera ora giunta nel capannone silenzioso di Capnapoliest, si sente tutta l’energia collettiva mossa dal vento di Petraroja, un archivio rurale ma anche emotivo che sa di montagne bagnate dal ricordo del mare.
In un’altra piccola foto si vede un paesaggio spoglio che, però, brilla di una luce quasi idilliaca, come se fosse un luogo immaginato in un sogno più che immortalato in una torrida giornata d’estate. L’artista ha poi realizzato delle incisioni simili a cime di montagne su dei piccoli pezzi di recupero facenti parte della lamiera utilizzata per la baracca.
Se queste costruzioni nascevano e ancora oggi nascono per conservare attrezzi, strumenti, mezzi e tutto ciò che fa parte del mondo agricolo, nella visione decentralizzata dell’artista diventano archivi che fanno riflettere sul destino di certi luoghi che, sebbene sembrino delle isole solitarie, in realtà sono portatori di valori universali di comunità e partecipazione collettiva.
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