Da mostra a vera e propria installazione site specific, da curatela a incalzante passione progettuale, dalla distanza della web art all’evocazione partecipe dell’opera materiale: la metamorfosi permea la mostra “ENSEMBLE” di Manuel Gardina, con immagini che guidano l’osservatore dal rigore analitico alla bellezza, secondo il concetto – desueto? – del “potere salvifico e catartico dell’arte”.
Introdotta da un’acuta presentazione di Ilaria Bignotti, con lucide indicazioni dell’autore, la mostra compie un salto inusuale dal metaverso alla realtà fruibile e gratificante dell’installazione e della proporzione materiale, con video e stampe sublimate su Chromaluxe da NFT.
Il gioco di percezione pesca nel profondo del desiderio ancestrale di “sublime”, ma anche di serenità, generando una sorta di “giardini” di psicologico richiamo, che partono dal contesto iconografico formativo dall’artista (pittura, cinema, animazione); Gardina però, con forza poetica, rifugge da stilemi assai diffusi nel mondo NFT, da quei patterns che spesso replicano immagini di videogiochi, giocattoli, pubblicità che hanno trasferito il post-pop in una sorta di estetica nerd, con esiti artistici e visuali opinabili.
L’artista gioca la carta rischiosa di far sognare l’osservatore facendo vibrare le corde delle emozioni, cogliendo appieno l’obbiettivo.
L’accordo cromatico-compositivo è da grande pittura; da qui, mentre si svela il sottile tramite dell’indagine fra tempo e movimento, sgorga la percezione di “stormir di fronde” acquatiche o boschive, evocate secondo immagini che non sono mai corrive o stucchevoli e danno luogo a risultati di grande e meditato impatto.
Ora, il termine meditazione bene si attaglia al lavoro di Manuel Gardina “che lavora con scultura e movimento, giocando con le reti neurali, il tempo e la percezione del soggetto. Utilizzando elementi di modellazione 3D e materiale di archivio” (cfr. presentazione citata).
E’ interessante cogliere come l’analisi dello scorrere del tempo in una natura generata dall’artista, che non è statica ma genera in movimento un’attività (natura naturans e natura naturata?…), abbia origine proprio nel web, luogo innaturale per antonomasia, dove l’attenzione dell’osservatore medio è sostenuta per pochi secondi.
Traducendo questa ricerca su un supporto materico quale l’alluminio o nella dimensione di un video – in sostanza con quel salto dal metaverso alla sala, alla parete, alla realtà tangibile – l’autore sposta la riflessione in un tempo assai più lungo, per via della fisica fissità dei media usati.
Sottopone così a critica la stessa scaturigine del suo metodo analitico, delle sue creazioni, sposta il punto di vista, avverte l’osservatore di non fermarsi ad una sola realtà.
Dunque, non sono solo opere-oggetto che si possono detenere, ma strumenti per una meditazione approfondita: un’immagine fissa al muro, o un video che ha una sequenza con inizio e fine, su grande schermo, cambiano la prospettiva meditativa della ricerca del rapporto tra il fluire della vita delle cose ed il tempo in cui queste vengono osservate.
Dal metaverso, vediamo però emergere “bellezza”, nelle opere e nell’installazione, secondo una categoria tanto desueta quanto umana del sentire, una sorta di confort zone che sorprende l’osservatore focalizzato su concetto e indagine.
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