Il rumore di un metronomo scandisce un tempo condiviso, dove ritmi e cicli di vita molto diversi coesistono, mentre un’intricata griglia metallica sospende in aria una serie di fogli di carta su cui scorrono immagini provenienti da molteplici proiezioni: così Metronome di Sarah Sze mette a nudo l’esperienza temporale, imprevedibile e varia.
La mostra personale di Sze, curata da Samuele Piazza e visitabile fino al prossimo 11 febbraio 2024, trasforma il Binario 1 delle OGR Torino in una grande installazione ambientale che parla a chiunque coinvolgendolo in una fantasmagoria di immagini, in costante movimento, che tratta del mistero di cui ciascuno ogni istante ha esperienza: il tempo. «Ho imparato che il tempo passa più velocemente in montagna che al livello del mare», spiega Sarah Sze, confidando di essere stata molto influenzata dalla lettura di L’ordine del tempo di Carlo Rovelli: «Come spiega Rovelli, “più in basso tutti i processi sono più lenti. Due amici si separano, uno vive in pianura e l’altro va a vivere in montagna. Si ritrovano anni dopo: quello che è rimasto giù ha vissuto di meno, è invecchiato di meno, il meccanismo del suo orologio a cucù ha oscillato meno volte“».
All’interno dell’enorme e centrale struttura emisferica, in cui la scultura dà origine alle immagini e le immagini alla scultura, in un continuum tra opera e dispositivo, passato e futuro non si oppongono più: è il presente, unico elemento che crediamo certo, a dileguarsi nel battito, regolare e cadenzato, del metronomo. Ma che cosa rappresenta quel battito? Un avanzamento? Una recessione? Un conto alla rovescia?
Non c’è una lancetta che valga come appiglio, piuttosto un senso di meraviglia coglie lo spettatore adulto che, nello spazio oscurato, osserva le proiezioni luminose – che investono l’opera e tutte le pareti – e si lascia trasportare dallo sguardo nel tentativo di catturare una narrazione. Metonimico ed eccentrico come una contemporanea lanterna magica, Metronome trasforma la sua funzione spettacolare e di creatore di meraviglia in un importante valore metaforico, di grande interesse di Sarah Sze. Siamo soli, coinvolti in una narrazione filmica esplosa, come soli siamo immersi nella rivoluzione innescata dall’innovazione tecnologica che ha generato un’inedita proliferazione di immagini, causata dalla facilità con cui possono essere prodotte, consumate e veicolate da un pubblico sempre più ampio e interconnesso, e un’accelerazione dei tempi di comunicazione che ci pone costantemente al centro di un vortice informativo che modifica la nostra esperienza spazio-temporale.
Seppur in un tempo di smartphone, metaversi, e scroll di social media, riaffiora il ricordo delle camere delle mirabilia, che si fondavano sui concetti di varietà e di casualità, dal momento che gli oggetti in esposizione rifuggivano rigide catalogazioni in favore di un’estetica dell’accostamento imprevisto e, soprattutto, dello stupore per l’occhio. Ecco, varietà e casualità sono ugualmente i principi su cui si costruisce Metronome, all’interno del quale Sarah Sze rimodella l’incessante flusso di dati della vita contemporanea attraverso costellazioni di oggetti e proliferazione di immagini rielaborando narrazioni visive che immagazziniamo dalla realtà, dai giornali, dalla televisione, dai device portatili e dal cyberspazio, e indagando lo statuto dell’immagine e della sua fruizione.
Che ne è del tempo di un corpo immerso in un circuito di consumo e produzione, che non conosce pause? Che ne è del tempo quando la compenetrazione sempre più intima tra fisico e virtuale contribuisce a moltiplicare, frammentare, unire in conformazioni inaspettate le immagini stesse? Dinnanzi al prodigio della tecnica si sente necessaria l’alleanza col prodigio dell’arte, è cosi che il tempo sfugge alle definizioni meccaniche, lineari, cronologiche, si lega all’occhio dello spettatore, nasce in un vissuto personale e concorre nella produzione di sempre nuove e altre. vite.
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