28 marzo 2025

«Mi sono sempre immerso nelle immense memorie della pittura». Apre a Genova la grande mostra su Giorgio Griffa

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Palazzo Ducale racconta l’opera e la ricerca di Giorgio Griffa, pittore sofisticato e colto filosofo, in nuova grande mostra, che dopo più di vent’anni ha riportato la luce dentro il museo.

Si faceva fatica, in effetti, a ricordare quale aspetto avessero le sale di Palazzo Ducale una volta usciti dalle mostre che negli ultimi anni – diciamo così, per non scrivere la cifra reale: più di venti! – si sono alternate nell’Appartamento del Doge, avvolte dall’oscurità e con percorsi scanditi da totemiche pareti tinte di scuro e illuminate da caravaggeschi fasci di luce. Oggi invece, rimosse le persiane dalle finestre, si respira di fatto un’aria diversa, contemporanea, ossia quella promessa da Ilaria Bonacossa al momento del suo insediamento nel febbraio 2024 alla direzione di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura. Giorgio Griffa. Dipingere l’invisibile è il titolo della nuova mostra, visitabile fino al prossimo 13 luglio, che mantiene la parola data e ci catapulta nell’orizzonte concettuale e visivo di un’arte raffinata, da apprezzare in silenzio e facendo navigare la mente negli infiniti abissi dell’interpretazione.

Una pittura che mette alla prova le innumerevoli possibilità della conoscenza

Scherza, a margine della conferenza stampa, Giorgio Griffa, 89 anni (che su di lui sembrano essere solo un mero dato anagrafico), sul fatto che egli abbia «scelto sin da giovane di essere un po’ pessimista, così le cose belle, quando accadono, sono un dono inaspettato e ne gioisco immensamente». E questa mostra è certamente qualcosa di cui rallegrarsi, non solo dal lato dell’autore ma anche del pubblico: 60 opere distribuite in undici sale che raccontano la carriera pluridecennale di Griffa, maestro della pittura astratta e concettuale, protagonista durante tre Biennali di Venezia, tra cui l’ultima recentissima nel 2017, e oltre 200 mostre personali in tutto il mondo. Di queste ricordiamo, vista l’occasione, soprattutto quelle degli anni Ottanta alla Saman Gallery di Genova, città che era mancata molto all’artista e che ora lo accoglie nuovamente nel suo museo più importante.

Le opere di Griffa parlano un linguaggio visivamente semplice, fatto di segni nitidi e colori puri, sebbene nascondano al loro interno articolate riflessioni filosofiche. Il percorso presenta principalmente lavori su tela, appesi alle pareti utilizzando dei piccoli spilli e senza alcuna cornice. Proprio la cornice, come ricorda il curatore Sébastien Delot, occlude e limita le possibili interpretazioni dell’opera, che invece, se lasciata libera, anche con i suoi bordi bene in vista, ondulati e sfrangiati, è messa nella condizione di esprimere tutto il potenziale comunicativo che racchiude. E di dipinti “senza un confine” i genovesi ne sanno qualcosa, forse più di tutti gli altri, dal momento che a poche traverse di distanza l’iconica pinacoteca di Palazzo Bianco espone tavole e tele senza cornici già dal 1951, dopo aver affrontato accuse e critiche – oramai superate – da buona parte della comunità scientifica. Ma torniamo a Palazzo Ducale. I segni tracciati da Griffa sulla tela recano in sé una stratificazione di significati che l’artista definisce «la memoria millenaria della pittura»: il gesto pittorico esprime infatti un patrimonio di valori intangibili, quelli dell’arte, che, se ripercorsi all’indietro, ci conducono fin dentro le Grotte di Lascaux.

La poetica del non-finito invita l’osservatore a contribuire alla creazione del significato delle opere

Tale patrimonio di segni e significati costituisce un’inesauribile fonte di conoscenza alla quale attingere non solo per attualizzare l’opera ma anche per aiutare la mente a riflettere sulla complessità del mondo che ci circonda. Sul ciglio di una rivoluzione epocale, simile a quella provocata dalla diffusione della stampa a caratteri mobili, in cui il giro di boa è rappresentato dalle diverse forme di intelligenza artificiale, l’arte è capace di fornire preziosi strumenti di interpretazione della realtà, perché è proprio nell’arte che secondo Griffa possiamo trovare il più vasto “database” di informazioni con cui educare il nostro sguardo verso l’esterno.

L’artista ci invita a considerare lo spazio pittorico come il luogo del non-finito, concetto mutuato dalla filosofia zen: i segni e le campiture di colore non riempiono mai la totalità della tela, che all’apparenza sembra incompleta, ma è proprio in questa incompletezza che si trova il valore irriducibile dell’arte di Griffa. L’invisibile che dà il titolo alla mostra è un invito ad andare oltre la semplice apparenza, lasciandosi trasportare dalle suggestioni dei segni e dei colori, «abbandonando il principio di dominazione» dell’uomo sul mondo, come afferma lo stesso Griffa, in base al quale la nostra ragione proverebbe appagamento solo se in presenza di una condizione ordinata e controllata. Al contrario, la facilità del tratto, la spontaneità nell’esecuzione e la purezza dei toni, assemblati liberamente e senza sottostare ad alcuna volontà di raffigurazione, lasciano sgombro il cammino che conduce la mente verso l’ignoto.

Se a primo impatto l’incontro con le opere di Griffa per alcuni può risultare ostile, il nostro invito è lo stesso rivolto dall’artista al suo pubblico: «percorrete la mostra in silenzio!». Il tempo da dedicare alla visita non condiziona l’esperienza, potete infatti passeggiare lungo le sale con calma ma senza indugiare, o potete anche inabissarvi per ore nell’osservazione di un singolo pezzo, ciò che fa la differenza è la capacità di giocare con la fantasia insieme alle forme e ai colori di ogni opera.

Il percorso della conoscenza avviene secondo stralci, variazioni e frammenti cuciti insieme

I non-finiti, o anche i quasi dipinti, come venivano chiamate le tele degli esordi negli anni Sessanta, hanno il pregio di traghettare l’osservatore nel mistero della conoscenza, che è fatta di una materia intangibile, ossia i concetti, ma che trova al contempo una possibile raffigurazione nelle sequenze segniche e nei tratti delle opere di Griffa. A tal proposito troviamo davvero eloquente la monumentale opera Sessanta Frammenti, realizzata nel 1980 ed esposta, tra l’altro, proprio a Genova, composta da decine di brandelli di tela dipinti e ritagliati, che vengono composti e ricomposti ogni volta che l’opera cambia luogo. Il ritmo con il quale questi brandelli si susseguono lungo la parete ricorda metaforicamente le variazioni di tono e di volume del jazz, ed evoca il procedere incessante e infinito della conoscenza umana, che avviene per concetti legati gli uni agli altri come i sessanta frammenti dell’opera, costantemente ricuciti, avvicinati e allontanati, ogni volta diversi. La rapsodia di questi stralci fissa l’incedere del nostro pensiero verso gli abissi infiniti del sapere, nei quali la mente si smarrisce e dove mai si troverà un punto di arrivo, esattamente come espresso da Canone aureo, la serie che porta sulla tela la sequenza continua della sectio aurea, ossia il numero “magico” che traduce aritmeticamente il concetto di bellezza e proporzione.

Giorgio Griffa. Dipingere l’invisibile è una preziosa opportunità per riscoprire un’arte svincolata dai registri canonici della raffigurazione, invitandoci a un confronto più intimo con il linguaggio essenziale della mente, dove la pittura diventa traccia del pensiero e dialogo silenzioso con lo spazio.

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