La mostra Michelangelo e il potere è un vero e proprio dialogo tra i due curatori Cristina Acidini e Sergio Risaliti che hanno messo a disposizione le loro conoscenze e i loro studi per allestire un percorso di più di cinquanta opere, tra calchi in gesso, alcuni prestigiosi prestiti da Casa Buonarroti, il Museo del Bargello e collezioni private e una quadreria di ritratti realizzati da alcuni tra i più importanti artisti dell’epoca. La sua particolarità risiede nello sguardo trasversale che si è scelto di adottare nel descrivere la figura di Michelangelo.
Quale Michelangelo?
Cristina Acidini commenta così l’esposizione: «Anche le opere d’arte più celebri e i documenti più noti possono esprimere nuovi significati quando vengono inseriti in un contesto che esalta certi loro aspetti, abitualmente difficili da percepire». Uno degli elementi, infatti, che sembra emergere da questa mostra è la difficoltà generale di concepire la figura di Michelangelo come artista a tutto tondo: disegnatore, pittore, scultore, architetto e letterato che ha avuto incessanti rapporti con il potere, non solo attraverso committenze spettacolari, ma anche contrapponendosi a esso, nel segno di una Firenze repubblicana, libera dal dispotismo.
Questa mostra si presenta come un focus innovativo su un aspetto considerato solitamente secondario nella produzione di Michelangelo Buonarroti, ma che rimane un leitmotiv che ne percorre la vita. Risaliti afferma: «Per la prima volta una grande mostra dedicata al genio di Buonarroti è allestita in Palazzo Vecchio. E per la prima volta nella storia entra in queste sale quello che a tutti gli effetti può considerarsi un manifesto politico di rara potenza, immaginato contro i tiranni della terra, il celebre busto in marmo di Bruto, il tirannicida, commissionato al Buonarroti dagli avversari dei Medici, fuggiti da Firenze dopo la caduta della Repubblica popolare».
Bruto: la forza tirannicida della resistenza repubblicana
Il Bruto michelangiolesco è il cuore pulsante dell’allestimento. Il dialogo tra la scultura e le sale, simbolo del potere mediceo ai tempi dell’artista, è uno dei collanti più significativi della mostra. Tuttavia, data la complessa stratificazione di significati delle figure scultoree esposte in città, pensare che un visitatore possa riuscire a concettualizzare secoli di storia e di studi per estrarre questo semplice quanto intricato concetto risulta una sfida non da poco: l’architettura di Palazzo Vecchio è simbolo del potere generale, del “buon governo” della città secondo chi lo detiene; Bruto è il tirannicida che libera Roma dal dispotismo di un unico uomo. Attorno all’opera, le piante delle fortificazioni pensate da Michelangelo per difendere la città dall’assedio dei Medici e la pianta della fabbrica di San Pietro, imponente contributo michelangiolesco per la realizzazione della nuova basilica, a cui l’artista ha continuato a lavorare fino alla sua morte. Michelangelo “genio militare” sottolinea un aspetto della sua vita e della sua produzione che si accavalla alle commissioni più note.
Una mappa iconografica di artisti e committenti
La quadreria è il sintomo di una certa incomunicabilità di fondo che si insinua nell’allestimento. Si ha l’impressione che l’esposizione sia realizzata nelle ultime sale del Palazzo per dare la possibilità di entrare nella storia dei Medici a partire dai loro sontuosi appartamenti, osservando la magnificenza del loro operato che si riflette in committenze spettacolari ad opera dei più grandi artisti del tempo. Tra questi, Agnolo Bronzino che ha affrescato interamente la cappella degli appartamenti di Eleonora da Toledo, moglie di Cosimo I de Medici, e che è esposto in questa mostra con il ritratto di Cosimo I in armatura, insieme ai ritratti di Fra Bartolomeo, Ridolfo del Ghirlandaio e Bugiardini. Più che una rete di connessioni di Michelangelo con il potere, questa serie di volti celebri crea una mappa concettuale-iconografica, priva di collegamenti espliciti. Il vero legame di Michelangelo con i poteri politici del tempo si manifesta in tutta la produzione che si trova al di fuori di Palazzo Vecchio: nelle cappelle Medicee, nella Biblioteca laurenziana e nel suo vestibolo, nella stanza segreta in cui si nascose per non essere trovato, arrestato e messo a processo da papa Clemente VII. È la storia stessa di Michelangelo che riflette i suoi rapporti non sempre facili con il potere, la sua caparbietà nel mantenere una posizione “di traverso” nei confronti di coloro da cui era costretto a dipendere.
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