Ad Lib. è una scultura sonora realizzata da Michele Spanghero a partire dal 2013, e, tra le opere più note della sua ricerca, è stata esposta, in varie versioni, in Italia, Francia, Belgio, Germania, Austria, Paesi Bassi, Spagna, Slovenia, Egitto e Cina. La mostra più recente si è svolta, fino all’inizio di giugno, nella sede di Parigi della Galerie Alberta Pane. Da questa mostra è nata la personale di Spanghero all’Istituto Italiano di Cultura a Parigi, diretto da Diego Marani, che fino al 20 luglio espone la scultura sonora Ad lib., in una versione del 2017, nelle sale dell’Hôtel de Galliffet, dove è stata presentata con una conversazione tra il curatore Dominique Moulon e l’artista lo scorso 8 luglio, di cui qui sotto vi proponiamo alcuni estratti.
«Le sculture sonore Ad lib. – ha spiegato Michele Spanghero – uniscono una macchina medica per la ventilazione polmonare automatica a delle canne d’organo che suonano un accordo musicale al ritmo costante del respiro meccanico. L’azione di questo organo artificiale solleva questioni etiche sulla volontà e sulla responsabilità coinvolte in questo requiem meccanico, una metafora del limite che gli uomini delegano alla tecnologia. Il titolo Ad lib. è l’abbreviazione dell’espressione latina “ad libitum”, che significa letteralmente “a volontà” ed è generalmente utilizzata per esprimere la libertà di una persona di agire secondo il proprio giudizio, ma è anche una didascalia musicale che dà all’esecutore la libertà d’interpretazione di un passo, consentendo ad esempio di ripetere “a piacimento” alcune battute dello spartito».
Michele Spanghero: «Il tema di questo lavoro, la morte, è molto delicato e credo vada trattato con sensibilità. Per questo motivo ho voluto che l’opera fosse priva di abbellimenti estetici che potessero distrarre lo spettatore dal suo significato, o che potessero essere considerati come un’offensiva indulgenza estetica. Volevo un’opera semplice e diretta, che fungesse da metafora del rapporto etico tra uomo e macchina. Così ho cercato di crearla con un semplice accostamento di due oggetti, presi da contesti completamente differenti (musica e medicina), per farla diventare qualcosa di più grande della mera somma delle due parti».
M.S.: «Premetto che, quando ho ideato il lavoro (i primi bozzetti sono del 2010), mai avrei pensato che potesse diventare quasi tristemente profetico 10 anni dopo. Quando il Covid ha colpito l’Italia, non ho fatto il collegamento tra la mia opera e la situazione pandemica, sono stati degli amici e critici che mi hanno scritto per dirmi che avevano pensato al mio lavoro a causa del Covid… e così mi sono accorto che Ad lib. stava effettivamente prendendo una nuova gamma di significati. Nelle ultime mostre anche molti spettatori hanno sottolineato questa coincidenza, ma, ad essere onesto, mi pare che molti si siano soffermati solo sulla presenza del ventilatore polmonare, nell’associare l’opera alla situazione pandemica. La tragica realtà è che la crisi sanitaria ha posto i medici nelle condizioni di dover scegliere chi potesse usufruire della respirazione assistita e chi no, avendo poche possibilità di guarire. Per questo, posso dire che è il significato profondo di Ad lib. ad essere diventato di estrema attualità con la pandemia».
M.S.: «Quando ho ideato Ad lib., non mi sono fatto influenzare dai movimenti trans o post-human. Ragionavo soprattutto sulla tematica del fine vita. Questo tema, affrontato in modo razionale e filosofico, tuttavia va inevitabilmente a toccare corde molto profonde ed emotive, quindi ho sentito la necessità di fare riferimento ad elementi iconici nella nostra cultura quali l’organo (che richiama la musica sacra) e il respiratore (che rappresenta la tecnologia e la scienza medica).
Il riferimento alla musica sacra, porta con sé l’idea di eternità (il Requiem deriva appunto da “requiem aeternam dona eis domine”), ma non è certo all’idea di eternità data dall’immortalità trans-human a cui mi riferisco, piuttosto ad un’idea di eternità spirituale che è il contraltare alla mortalità della carne, una ricerca di senso non necessariamente religiosa che rappresenta il rito di passaggio attraverso la trasfigurazione artistica».
M.S.: «Trovo interessante come il mio lavoro nel tempo abbia trovato pubblici e contesti molto diversi dove essere esposto. Riconosco questo come effetto di un mio percorso formazione non lineare, tra teatro e festival musicali. Inoltre questa eterogeneità ricalca una condizione esistenziale che conosco bene, quella di riuscire ad adattarmi alle circostanze, eppure di sentirmi fuori luogo ovunque. Credo che l’aspetto trasversale dei riferimenti che sono alla base della mia ricerca si adattino in molti contesti, senza però esserne mai del tutto aderenti. Mi spiego con un esempio: la sound art trova di solito spazio in festival multimediali legati all’arte digitale, ma il mio lavoro non utilizza tecnologie avanzate, appartiene a quel contesto per i suoi aspetti formali, vi rientra per le categorie dei media utilizzati, ma non ne condivide molti aspetti estetici».
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