L’arte di Marzio Zorio (Moncalieri, 1985) si dipana in Mitopoiesi in un dialogo inedito tra suoni ambientali e vetro, dando vita a un’esperienza immersiva e sensoriale che invita il visitatore a varcare l’enigma dell’ignoto. Le opere scultoree in mostra, realizzate in collaborazione con Berengo Studio di Murano, sono l’esito di un’affascinante ricerca sul linguaggio delle megattere. Questi giganti del mare, capaci di comunicare a centinaia di chilometri di distanza, hanno ispirato i miti che si celano dietro il canto delle sirene, evidenziando la connessione tra il linguaggio marino e quello terrestre.
Mitopoiesi non è solo un titolo, ma un concetto che esplora come l’umanità trasformi ciò che non si conosce in mitologia, un viaggio che parte dai profondi abissi dell’oceano per approdare alla nostra cultura. Varcare la soglia della mostra è come entrare in un universo sconosciuto, dove forme e suoni evocano creature occulte e lontane. Ci si trova di fronte a qualcosa di indefinibile: balene, sirene, forse alieni, che sembrano appartenere a una cultura altra, diversa dalla nostra, e quello che raccontano resta avvolto nel mistero. È proprio questo senso di non conosciuto a innescare un esistenziale interrogativo: chi o cosa sta cercando di palesarsi attraverso queste onde sonore, questi sussurri cristallini?
I temi centrali dell’indagine artistica di Marzio Zorio si esprimono nel rapporto tra suono e spazio e nel suo studio dei meccanismi di comunicazione e memoria. Il vetro si fa contenitore e propagatore di armonie, capace anche di distorcerle e plasmare nuove sensazioni. In questo contesto, le sculture dialogano tra loro attraverso un sinuoso sistema di suoni ambientali, catturati in vari luoghi dall’artista, che s’intrecciano a sinusoidi e ad alcuni estratti da registrazioni risalenti agli anni ’70 dei segnali emessi dalle megattere.
La possibilità di interagire con le opere, spostandole nello spazio, consente di scoprire nuove sonorità, come se l’osservatore stesso stesse tentando di comprendere un linguaggio perduto, in bilico tra il ricordo e l’invenzione, e come se le installazioni raccontassero storie di entità enigmatiche che parlano secondo un codice a noi incomprensibile, ma che ci invita a decifrarlo. In questa coreografia di forme e suoni, il visitatore diventa co-creatore, modulando gli accordi e, di riflesso, i discorsi e i significati che si sviluppano attorno all’opera.
La divisione in due stanze rappresenta due momenti separati ma osmotici, che comunicano tra loro e si compensano. Nella seconda stanza la percezione dei semi viene decostruita: anziché apparire statici, i semi danzano, cantano in coro e si confrontano con la provetta che li contiene. Concepite come dispositivi performativi, le provette permettono al pubblico di intervenire sulla polifonia dei semi, trasformandoli da contenitori di vuoto a dimore generatrici di vita. Zorio induce il pubblico a riflettere sul significato di questa cattività, suggerendo un tentativo di evasione che si connette all’idea di mitologia e non conoscenza. “Questi fagioli sono magici?” ci si chiede. È un invito a sognare, a lasciare libero il pensiero, a immaginare ciò che può germogliare dall’ignoto, celebrandolo come valore positivo e creativo.
La delicatezza dei suoni che riecheggiano nella sala, prodotti dalle vibrazioni del vetro attivate da un campo magnetico, persuade ad avvicinarsi in un atto al contempo fisico e concettuale, per estendere e alimentare la propria conoscenza. Il senso della ricerca dell’artista si cristallizza nell’esperienza tattile e sonora. Si avverte una sensazione di sospensione eterea, sottile e pervasiva, che permea il visitatore come se fosse immerso sott’acqua, in un sito abitato da arcane presenze marine. Il dialogo con la città lagunare, intrisa di miti e leggende, si rispecchia nel lavoro di Marzio Zorio, creando un ponte che conduce a sconfinare gli spazi della galleria per un’esplorazione più profonda.
10 & zero uno, un tempo sede di una macelleria, si trasforma in un luogo suggestivo, dove le pareti grezze dilatano l’ambiente, rendendolo poliedrico e ideale per accogliere la sperimentazione artistica. Al suo interno, una piccola stanza, che ricorda per dimensioni una cabina acustica, consente un isolamento intimo e raccolto, trasformandosi in un laboratorio alchemico dove suoni e visioni si fondono in un’atmosfera mistica e avvolgente. Il vetro, protagonista della mostra, da materiale solido si fa concettualmente malleabile, diventando veicolo di nuove interpretazioni, emozioni ed esperienze, umane e non.
In Mitopoiesi, Marzio Zorio ci guida in una rotta oltre i confini del conosciuto, invitandoci ad addentrarci nel regno dei miti e a dialogare con l’insondabile. Le sue opere si fanno portali verso un mondo altro, trasformando l’esperienza artistica in un rito di scoperta, dove la meraviglia diventa non solo fine ma mezzo, svelando nuove dimensioni di percezione e senso.
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