Il termine “jam session” indica un gruppo di musicisti che improvvisano insieme. Le Jam Session dell’Artizon Museum, Ishibashi Foundation di Tokyo sono ideate per “far suonare insieme” le opere di un’artista contemporanea e quelle della loro collezione. Jam Session Mohri Yuko — On Physis è il titolo della mostra che raccoglie una decina di installazioni di Mohri Yuko in dialogo con opere del museo da lei selezionate.
Nata nel 1980 a Kanagawa, Mohri Yuko si serve del suono e del movimento di oggetti su cui innesta circuiti elettronici, che reagiscono alla forza di gravità, al magnetismo e all’umidità. Ha rappresentato il Giappone all’ultima Biennale d’Arte di Venezia nel 2024 e negli ultimi anni ha partecipato a numerose mostre internazionali come la 14a Biennale di Gwangju nel 2023, 23a Biennale di Sydney e la 34a Biennale di San Paolo nel 2021, per ricordarne solo alcune. Il prossimo settembre avrà una mostra personale all’Hangar Bicocca di Milano. «Non è stato facile scegliere tra le quasi 3000 opere appartenenti alla Fondazione Ishibashi» ha dichiarato l’artista in un incontro organizzato dalla Japan Foundation. La collezione comprende opere d’arte antiche, dipinti giapponesi, opere di impressionisti e di artisti contemporanei.
La decina di installazioni di Mohri, alcune nuove, altre reinstallate per la mostra (visitabile fino al 9 febbraio), indicano quanto sia stata empatica e approfondita la sua selezione. È riuscita a creare un ambiente immersivo in cui le sue opere creano un ecosistema in grado di dialogare con quelle di Claude Monet, Henri Matisse, Paul Klee, Georges Braque, Marcel Duchamp, Joseph Cornell e Fujishima Takeji, Constantin Brancusi, per ricordarne solo alcuni. Un esempio su tutti. Prima di realizzare la nuova opera Piano Solo: Belle-Ile, Mohri si è recata a Belle-Ile, isola che si trova al largo della costa della Bretagna, in Francia, per vedere dove Claude Monet aveva dipinto Belle-Ile, Rain Effect nel 1886. Un modo per capire quanto fosse fisicamente pericoloso stare in quel luogo quando pioveva, e vivere sulla propria pelle quell’esperienza.
Altrettanto interessato alle mutazioni della materia e alle percezioni spaziali è Yosuke Amemiya alla sua prima personale al WATARI-UM di Tokyo, dopo aver trascorso più di 10 anni tra Amsterdam e Berlino. La vocazione sperimentale del museo – l’unico progettato da Mario Botta a Tokyo, nell’area di Shibuya – è in sintonia con il suo lavoro che indaga il ruolo “futuro” dell’artista e l’annunciata estinzione del genere umano. Nato a Ibaraki nel 1975 Amemiya, ha partecipato a numerose collettive come Roppongi Crossing 2010: Can There Be Art? (Mori Art Museum), Wiesbaden Biennnale, Aomori Earth2019: Agrotopia ‐ When Life Becomes Art Through Local Agriculture e a Reborn-Art Festival.
Yosuke Amemiya | WATARI-UM, The Watari Museum of Art, which has not melted yet è il titolo della personale, visitabile fino al 30 marzo. Entrando nel museo sono installate le Melted Apple Sculpture, tra le sue opere più rappresentative a cui ha iniziato a lavorare nei primi anni 2000, sculture che combinano temi riguardanti l’universalità iconica del frutto, con problematiche legate all’antropologia e alla storia dei diversi paesi in cui è coltivato. Il video 13 Minutes in Ishinomaki documenta invece la creazione dei 30 manoscritti in cui riflette sulla scomparsa dell’autore nel prossimo futuro. Il suo ultimo lavoro in VR, è stato invece filmato al WATARI-UM durante l’installazione della mostra stessa. Il museo ha una storia importante nella scena artistica giapponese: inaugurato nel 1990, accoglie l’eredità e l’esperienza di Gallery Watari, che dal 1972 to 1988 ha presentato mostre di Andy Warhol, Keith Haring, Donald Judd, Sol LeWitt, Yoko Ono, per ricordarne solo alcune, oltre ad aver invitato curatori come Harald Szeemann e Jan Hoet. Terminata l’esperienza della galleria, il museo ha organizzato mostre di artisti affermati come Ryuichi Sakamoto, Carsten Nicolai, JR, Philippe Parreno, ed emergenti tra cui Chim↑Pom, Naoki Ishikawa+Yoshitomo Nara.
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