Momentality è la prima mostra personale di Paul Wallach (1960, New York) nella sede napoletana della Galleria Lia Rumma. Il titolo dell’esposizione prende il nome da un’opera esposta in forma di cartello che esplicita la ricerca dell’artista, che attualmente vive e lavora a Parigi: «È una parola – dice Wallach – che non esiste nel vocabolario. Ho messo insieme Momento e Monumentale e così facendo mi riferisco semplicemente alla monumentalità del momento. Il momento è ciò che può essere visto come insignificante, banale e allo stesso tempo ciò che definisce tutto. Poiché ciò che accade in questo momento, inevitabilmente, influenza tutto ciò che segue. Il processo creativo e le opere risultanti ne sono un ottimo esempio».
Dieci piccole sculture, prevalentemente in tiglio, sembrano staccarsi dal muro in un sottile gioco di illusioni e costruzioni cromatiche. In esserci (2023) e Some Other Where Else (2020) si nota una purezza minimale delle forme, geometricamente scandite da una base che le sorregge e che le spinge al di fuori dalla parete. L’effetto ottico dato dal tono su tono del bianco delle opere, amplifica una tridimensionalità che viene accentuata dalle ombre che si riflettono sulle pareti a seconda del punto di vista da cui le osserviamo. Una monumentalità concentrata nelle dimensioni ma concettualmente espansa nel tempo, è espressa in s’effacèe (2023) un piccolo calendario su carta e tela che fa riferimento alla prima mostra della storica galleria napoletana, quando nel 1971 inaugurò con L’Ottava Investigazione (A.A.I.A.I.) di Joseph Kosuth.
A metà sala, quasi a fare da tramite con le altre sculture, è Conditional (2017-2023) che con le sue strutture filiformi crea dei vuoti spaziali simili a delle grazie bodoniane. Al centro del pavimento scuro, invece, spicca Non Lieu (2023) una sorta di seduta su cui è posizionato uno specchio che, grazie al suo potere riflettente, amplifica lo spazio circostante e ci direziona verso Four Cornered (2022-2023), un’altra piccola monumentalità, questa volta in nero, che al suo interno contiene diverse sezioni che sembrano formare una prospettiva ambigua, in parte asimmetrica.
Traspare da queste strutture il pensiero dell’artista, secondo cui la scultura deve «Affrontare profondamente l’effimero, il bisogno, la fragilità, l’utilità, la verità, l’ambiguità, il tempo, la luce, il colore, il luogo, lo spazio, la forma, la materia, il volume, il vuoto, l’autonomia, l’identità, l’assenza di gravità e tutte le sue infinite combinazioni».
Proseguendo nelle due sale attigue, si incontra Begat (2009), attraversata da un filo metallico che tende a cadere verso il basso, mentre la scultura in tiglio mostra, in sospensione, la sua dinamicità data dall’armonia degli elementi che la compongono. Nell’angolo, in un intricato gioco di equilibri tra forze, si resta affascinati da Trait d’Union (2023) una struttura semistellare che unisce due pareti, rendendo possibile l’incontro tra due punti distanti.
Infine con Relevation (2023) dal blocchetto di tiglio sembra nascere una foglia nera, con la sua tipica forma cuoriforme ma dal contorno seghettato che, forse, fa riferimento all’anima fragile di questa pianta, il cui nome deriva dal greco Ptílon, ovvero, “ala”.
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