Ha uno sguardo attento, Monika Emmanuelle Kazi, che le permette di riconoscere negli ambienti costruiti convinzioni e idee da mettere in discussione. Nata a Parigi nel1991, Kazi è cresciuta tra la Francia e la Repubblica del Congo, prima di trasferirsi a Ginevra, dove attualmente risiede. Vincitrice del Bally Artist Award, il premio – istituito nel 2008 – che la Bally Foundation assegna ogni anno ad artiste e artisti svizzeri o residenti in Svizzera con un’attenzione particolare all’intersezione tra savoir-faire e natura, per il progetto al MASI evoca un interno domestico che utilizza come dispositivo per evocare memorie legate alla personale esperienza diasporica e alla più ampia storia coloniale.
Composizioni di vasi, una lampada, piatti e bicchieri di cristallo, conservati a terra o su antichi mobili, objets trouvé, oggetti ordinari recuperati e successivamente incisi con il nitrato d’argento, suggeriscono – come suggerisce anche il titolo della mostra, Mimesis of Domesticity – un ambiente domestico all’interno del quale immagini di corpi e istantanee di vita vissuta intrecciano una storia personale con tematiche storiche e politiche più vaste, di cui parliamo con Monika Emmanuelle Kazi.
«É sempre e solo attraverso la mediazione di una casa che siamo in città», ha scritto Emanuele Coccia in un suo libro. Che significato assumono, nella tua pratica, lo spazio domestico e l’abitare?
«Lo spazio domestico e la casa sono al centro della mia pratica artistica. Dopo una formazione in architettura d’interni, sono entrata nelle arti visive con il desiderio di riflettere sulle nozioni che avevo appreso e che mi turbavano. Per riassumere la mia pratica, si potrebbe dire che sto cercando di capire se lo spazio ha un corpo e una memoria. Se i muri hanno davvero delle orecchie…»
Come hai creato Mimesis of Domesticity? A cosa ci si trova davanti, quali oggetti hai utilizzato e li come hai lavorati?
«Attingendo alla memoria architettonica di Palazzo Reali, originariamente dimora della famiglia Reali e poi donato al Canton Ticino per essere adibito a museo d’arte. Ho voluto richiamare lo spazio privato diventato pubblico evocando l’immagine della sala da pranzo, perché per me questo spazio della casa è il luogo in cui accogliere ed esporre i propri beni, il proprio gusto e gli oggetti decorativi. Ho quindi esposto una parte della mia collezione di vetri di cristallo (di cui sono andata in cerca, per diverso tempo, per diverse opere d’arte) e ho realizzato diverse composizioni che ho dipinto con la mia tecnica del nitrato d’argento per richiamare l’argenteria».
Quali radici di appartenenza, credenze e prospettive sul mondo rivela Mimesis of Domesticity?
«Mimesis of Domesticity è uno specchio o una percezione del mondo dai nostri luoghi privati e personali. La sua reinterpretazione spaziale della sala da pranzo contiene oggetti di uso quotidiano, un servizio che si usa per occasioni specifiche, in cui compaiono tre riferimenti che si intrecciano: gli archivi di famiglia della giovinezza dei miei genitori, un’epoca che mi ha preceduto; i motivi sulle banconote del franco CFA dell’epoca della mia giovinezza in Congo Brazzaville, che raccontano un’epoca economica che ho vissuto; e gli attributi della dea Fortuna, che racchiudono un’epoca mitologica. Tutto questo si riflette nei visitatori che, cercando di capire queste correlazioni, diventano essi stessi serbatoi di immagini e ricordi».
L’acqua è un elemento costante all’interno di Mimesis of Domesticity: come guardi e come ti rapporti alle tematiche di sostenibilità e conservazione?
«Vedo la sostenibilità come un ciclo. Uno stato che passa da uno all’altro, per poi tornare e ricominciare. La cristallizzazione dell’acqua sul pavimento può essere vista come la continuazione del liquido che poteva trovarsi nei contenitori di vetro, un liquido che è evaporato ma che è udibile nel suono The Seed, che appare ogni 18 minuti nello spazio. Queste domande riguardano lo spostamento dei punti di vista. In Occidente, per esempio esempio, vogliamo investire nell’elettricità per realizzare una transizione ecologica, ma questo desiderio ha un costo per l’estrazione delle materie prime, per le persone che vivono in questi territori ricchi di suolo e per la terra stessa. Quando lo specchio viene capovolto, la nostra visione e i nostri obiettivi cambiano forma».
Come spesso accade nella tua pratica, la tua storia personale intreccia tematiche storiche e politiche più vaste. Che ruolo, o che valore, hanno la creatività e l’immaginazione nel processo di rappresentazione del binomi storia individuale – storia collettiva?
«La creatività e l’immaginazione giocano un ruolo molto importante! Per tutti gli artisti. Da parte mia, credo di cercare costantemente di mantenere la mia percezione infantile. Da bambina ero molto curiosa e credo di continuare a dialogare con quella bambina per formulare associazioni di immagini, spazi e pensieri che all’inizio possono sembrare incongrui, ma che in realtà possono avere uno o più significati. I bambini hanno una capacità naturale di mettere in discussione molte conoscenze consolidate con facilità. È lì che va la mia immaginazione».
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