Alla Stazione dell’Arte, a Ulassai, la personale di Narcisa Monni (1981, Alghero) “Insieme a te non ci sto più”, a cura di Davide Mariani, presenta quaranta dipinti inediti realizzati dall’artista durante il lockdown.
La mostra, aperta fino all’11 ottobre, nell’intercettare e rendere accessibili per il pubblico le manifestazioni artistiche più vive del territorio, si innesta su uno degli aspetti più rilevanti dell’identità del museo stesso: quando nel 2006 Maria Lai fonda la Stazione dell’Arte a Ulassai, è intransigente nel volere un’istituzione dinamica, capace non solo di custodire e rendere accessibile il suo lavoro, ma anche di interagire con il territorio e captare ciò che succede in campo artistico e sociale al suo interno.
È tenendo ben presente questa volontà che il museo – che recentemente ha realizzato un nuovo allestimento multisensioriale (qui l’intervista in cui Davide Mariani ci ha raccontato le novità) e pensato a uno spazio interamente dedicato a nuovi progetti espositivi – ora non ha esitato a modificare la propria programmazione per dare spazio alle urgenze comunicative della situazione contingente racchiuse nelle opere di Narcisa Monni.
La mostra è stata realizzata con il supporto del Comune di Ulassai, della Fondazione di Sardegna e della Regione Autonoma della Sardegna.
«Le opere di Narcisa Monni, in questi mesi, hanno vissuto in una dimensione virtuale perché diffuse sui social – prosegue Mariani – ora crediamo sia arrivato il momento di consentire ai visitatori di apprezzarle per la prima volta dal vivo in un museo e di stimolare nuovi dialoghi e nuove riflessioni su un periodo così denso di incertezze e di inquietudini», ha spiegato il Direttore. Per queste ragioni e in virtù della propria identità di museo-laboratorio con un forte legame con il territorio, la Stazione dell’Arte ha modificato la propria programmazione per dare spazio a “Insieme a te non ci sto più”: «la mostra di Narcisa Monni è un fuori programma, e questo perché le opere in mostra fino a tre mesi fa non esistevano e forse non sarebbero neanche mai esistite. Abbiamo scelto di dare spazio a questa serie di opere perché crediamo fortemente che i musei abbiano il compito di intercettare le espressioni contemporanee più significative e proporle al pubblico. Siamo nel pieno di una frana e, ancora una volta, per citare Maria Lai, l’arte può suggerire una direzione, una via da seguire per la salvezza, come quel nastro celeste che legò le case alla montagna per chiederle pace», ha dichiarato Davide Mariani.
Riportiamo alcuni passaggi del testo del Direttore della Stazione dell’Arte che accompagna la mostra:
«Celebre classico della musica leggera italiana portato al successo negli anni Settanta da Caterina Caselli, Insieme a te non ci sto più, appare oggi come l’espressione emblematica tanto della condizione di isolamento forzato che miliardi di persone si sono trovate a sperimentare per la prima volta, quanto delle perdite umane che il nuovo coronavirus ha causato nel mondo».
«Perdita e abbandono costituiscono la chiave interpretativa per entrare in relazione con i nuovi lavori di Narcisa Monni. L’artista, classe 1981, dopo essersi formata all’Accademia di Belle Arti “M. Sironi” di Sassari, dove oggi insegna Pittura, propone la sua intima riflessione maturata durante la quarantena trascorsa interamente a Ittiri, nella sua casa d’infanzia. È qui che si è trasferita lo scorso marzo, in compagnia della madre e circondata dai ricordi di una vita, alcuni felici e spensierati, altri più tristi e malinconici.
«In quell’ambiente domestico, così raccolto e apparentemente lontano dal caos della città, Monni ha sperimentato una dimensione espressiva inedita, un equilibrio precario ma comunque duraturo, che l’ha portata a realizzare oltre un centinaio di nuove opere su carta che compongono la serie “In tempo di guerra”».
«Come un soldato in trincea, l’artista, barricata in casa, ha voluto dare la sua personale visione di questo periodo, attraverso una produzione giornaliera avviata in seguito alla riscoperta di vecchie tempere “Giotto”, rimaste lì dai tempi del Liceo, e di alcune riviste di “costume e società”, altrettanto datate.
Iniziate come un diversement e postate quotidianamente sui social, le opere ben presto hanno iniziato a prendere autonomia espressiva, dal punto di vista formale e concettuale. Le immagini pubblicate sulle pagine di famosi rotocalchi sono state selezionate e inglobate all’interno dei lavori in nome di un’operazione di appropriazione pittorica messa in atto da Monni con l’obiettivo di rendere individuale un immaginario collettivo».
«Fino al momento prima che scoppiasse l’emergenza sanitaria, la sua ricerca artistica appariva come la vivisezione della sua esistenza e non risparmiava neppure la sfera emotiva e sentimentale. Ogni opera, infatti, nasceva con l’intento di comunicare una visione intima del proprio vissuto quotidiano.
«Adesso, invece, i nuovi lavori provengono da un’immagine fotografica riprodotta e stampata su carta in centinaia di migliaia di copie, e per questo motivo, vista e “consumata” dallo sguardo di altrettante persone. Queste immagini costituiscono la base di partenza del lavoro dell’artista, che le assume e le trasforma in una sorta di diario di ricordi inesistenti».
«Ci troviamo davanti a una narrazione dai toni biografici che, in verità, di biografico ha ben poco, in cui al silenzio raggelante dell’impianto visivo, reso tramite una pittura gestuale che lascia spazio ad alcuni dettagli fisionomici dei soggetti ripresi nella fotografia preesistente, fa da contraltare, di volta in volta, un titolo vagamente beffardo, amaro, ma anche ironico, che sembra suggerire più lo stato emotivo dell’autrice nel momento della creazione dell’opera che una reale aderenza al contenuto proposto. Una sorta di nota a commento, dunque, un appunto per ricordare l’accaduto mai accaduto. Chissà, magari non direttamente a lei, ma forse a noi».
«È in questo momento che si compie quel passaggio di restituzione dell’opera al pubblico e di chiusura dell’atto creativo: quell’immagine rubata è ora riconsegnata modificata, nella forma e nel contenuto, e racconta una storia tra le tante di questo tempo, una storia forse immaginata ma proprio per questo indispensabile alla realtà quotidiana, alle nostre frequentazioni, alle nostre delusioni, alle nostre angosce e ai nostri dolori, perché in fondo – per citare le parole dell’artista interrogata sul reale motivo che l’ha spinta a dare vita a queste opere – “ognuno si salva come può”».
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Mi ricorda molto Gianluigi Toccafondo, noto per la grafica e gli spot pubblicitari animati