La rassegna Dell’umana dimensione. Arte e visioni contemporanee lungo la Via Emilia prosegue nel progetto espositivo di rete con una tappa presso lo Studio la Linea Verticale di Bologna. Con la personale di Michelangelo Galliani, Sagitta. Ordinario – Uomo – Straordinario, la tecnica scultorea è declinata secondo l’impiego di materiali nuovi ed eterogenei, avvicinando così una pratica ancora fondata sulla tradizione classica a sensibilità più prossime del sentire contemporaneo.
La mostra, curata da Maria Chiara Wang in collaborazione con Alessandro Mescoli e la Galleria Cris Contini Contemporary, vede i contributi critici e testuali di Michelangelo Galliani e di Paolo Donini, Maria Chiara Wang, Marcello Bertolla e Alessandro Mescoli. Inaugurata il 21 marzo 2024, proseguirà l’apertura fino al 30 maggio 2024. Fulcro dell’esposizione è la rivisitazione della figura canonica del martirio, tramite nuove accezioni del culto di San Sebastiano che interessano una installazione posta al centro del percorso di visita.
Galliani segue di persona l’allestimento rendendo un assetto pulito e minimale, in cui le opere testimoniano un rapporto equilibrato con lo spazio, dal preciso impatto visivo. La serie di sei opere valorizza interventi di stile e tecniche differenti, presentando una sintesi della stessa prassi esecutiva. Un approccio istintivo alla materia, dove la resa finale include parti finite a visioni più frammentarie, secondo il fare manuale proprio di quell’intaglio diretto del marmo che non prevede un modello prestabilito, ma lascia al tempo di realizzazione il compito di definire man mano forme nuove. Un aspetto tecnico diventa, così, concettuale, e l’opera risulta davvero cangiante e dinamica fino alle ultime fasi dell’intaglio, restituendo una narrazione che si cristallizza e stratifica nel tempo.
In particolare Paesaggi notturni si presta a un’unione tra il corpo e il paesaggio, in cui l’ossidazione del piombo fa intravedere l’insieme di una figura sdraiata su di una superficie piana, come un richiamo alla Sindone, oppure una visione prossima alle sfumature della prospettiva atmosferica. Una mano buca idealmente il supporto per raggiungere lo sfondo d’oro circoscritto dalle increspature, a legame tra due dimensioni distanti e di difficile approdo. Quindi Cartolina da Istanbul, altra opera composita che interessa una base specchiante di acciaio inox e una testa scolpita in marmo nero, su cui poggia una colonna in piombo con all’estremità il frammento di un architrave. Il complesso è adatto a uno sguardo onirico che evoca ricordi di luoghi lontani anche nel tempo, la cui storia può essere ricostruita solo tramite rovine e il deperimento costante della materia.
Addentrandoci poi nella galleria, notiamo subito l’installazione Sagitta, opera presa a pretesto agiografico circa la figura di San Sebastiano per l’intera esposizione. Qui Galliani pensa ancora alla pittura, facendo della sua scultura una pratica che si comporta analogamente a qualsiasi altro tipo di rappresentazione in campo artistico, mista anche di richiami poveristi e concettuali. Un torso e una testa di marmo nero, quest’ultima pensata solo successivamente in fase d’opera, si contrappongono a visioni più grezze e incomplete, esponendo il corpo del martire a una serie di piccoli puntini rossi di luci al neon, elemento simbolico dove la ferita sta a metonimia delle frecce, come l’effetto alla propria causa. O forse davvero qualcuno sta puntandoci contro il suo arco, ma oggi piuttosto con altro mirino.
Ai lati della sala sono invece esposti due altaroli portatili che, se richiusi, lasciano intendere il titolo dell’insieme: Landscape e Nebula. Il primo mostra al suo interno la continuità delle linee di un marmo lavorato a basso rilievo, in cui una scena di campagna riprende le curve del paesaggio più prossimo allo studio dell’artista. Il secondo, quasi una trascrizione della fotografia recentemente scattata dal telescopio Hubble ai cosiddetti “Pilastri della Creazione” nella nebulosa dell’Aquila, una sorta di attiva nursery stellare.
Infine ci accoglie Eda, altra fabula tratta dal quotidiano lavorata in onice e piombo, che riproduce le trame sottili dell’ordito di un tessuto, a ricordo di una presenza fisica cui l’autore dedica un suo particolare tipo di tributo.
Come dal testo di Paolo Donini: «Le sue elezioni estetiche accettano di essere incomplete, interrotte dal dubbio, spezzate da materie altre, minacciate, come tutto, di corruzione e di mancata eternità ». Che la forma non ci inganni perché la perfezione non ci appartiene, l’esperienza umana frammentaria, sempre compressa nell’effimero e irreparabile ciclo della vita.
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