A cura di Ludovica Sebregondi per la Fondazione Palazzo Strozzi e Matthew Gale e Natalia Sidlina per la Tate Modern di Londra, l’esposizione “Natalia Goncharova. Una donna e le avanguardie, tra Gauguin, Matisse e Picasso” racconta e fa conoscere anche in Italia questa “donna della modernità”, per colmare le numerose lacune e riscrivere al femminile la storia dell’arte moderna, attraverso una retrospettiva che ne ripercorre la vita controcorrente e la poliedrica produzione.
Natalia Goncharova, di origini russe ma vocazione internazionale, fu infatti fu una delle prime donne ad imporsi nel panorama delle avanguardie del primo Novecento, come testimoniano le 130 opere allestite in sale studiate per sezioni che ci portano, attraversandole, nell’eterogeneità del suo sguardo e delle sue influenze. La mostra è realizzata proprio come un racconto sostenuto da immagini e video.
La Sala 0, da cui prende avvio, ci restituisce una biografia per immagini di questa artista e donna rivoluzionaria: si sposò, dopo 50 anni di convivenza, nel 1955 con il compagno di vita e artista Mikhail Larinov e solo per tutelare il comune lavoro, frutto di un lungo sodalizio artistico e professionale. Il loro rapporto d’amore ante litteram, fu sempre di grande apertura e rispetto, lontano dai canoni e dai ruoli. Insieme diedero vita al Raggismo, un movimento che prendeva spunto dall’intersezione di fasci luminosi riflessi dagli oggetti per creare forme spaziali, tramutando i soggetti in pura astrazione, per suggerire un mondo oltre il visibile e compiere un ulteriore passo verso la non figurazione. Ispirandosi al tema dell’energia e ai processi invisibili della trasformazione della materia: “Il Raggismo – scriveva l’artista – è libero da forme concrete e si sviluppa secondo le leggi pittoriche”.
La sezione “Guardando a Occidente”, ci conduce in una sorta di viaggio tra la campagna russa, Mosca e Parigi, le due città simbolo dall’artista che si trasferì in Europa per continuare a dipingere in maniera libera e senza costrizioni.
In Francia conobbe e si confrontò con i grandi del primo Novecento – Picasso, Matisse, Cezanne, Gauguin – oltre ad i futuristi italiani Marinetti, Balla, Boccioni.
L’allestimento di Palazzo Strozzi ben evidenzia questo aspetto, in quanto crea un percorso di passaggio tra le varie stanze, scandendolo attraverso l’utilizzo di colori delle pareti: grigie per gli artisti che hanno avuto influenza sulla sua arte e colorate per le varie stagioni della sua produzione.
Guardò alla sperimentazione dei suoi contemporanei, scontrandosi a volte, ma facendo propria e personalissima la potenza cromatica dei fauves, contaminandola meravigliosamente, in alcuni dipinti, con le frivolezze del decorativismo russo. Collaborò e lavorò nel mondo della danza e del teatro, stabilmente per i Ballets Russes, realizzandone i costumi e le scenografie (Tunica da boiardo e copricapo a corona del Principe per il balletto Sadko del 1916 e Disegno della scenografia per la scena finale del balletto L’Oiseau de feu,1954).
In un momento storico e politico in cui alle donne non era permesso né dipingere nudi né approcciarsi all’arte sacra – la tradizione ortodossa impediva infatti alle donne di eseguire icone – si incuneò su temi sociali e politici e fu la prima donna in Russia ad essere accusata di blasfemia, per le sue opere, subendo più volte la censura.
I suoi dipinti furono sequestrati dalla polizia nel corso di tre mostre, con l’accusa di offesa alla morale pubblica e oscenità. Tra queste, il polittico Gli Evangeslisti, sequestrato per ordine del Santo Sinodo e il dipinto Modella (su sfondo blu), realizzato tra il 1909 e il 1910, il quale ha subito, ironia della storia, nuovamente la censura, dopo essere stato postato sugli odierni Socia, come immagine a promozione della mostra da Palazzo Strozzi.
”Non ho paura della volgarità della vita – diceva – che trasformo in forme artistiche”.
Pittrice, grafica, illustratrice e performer, attraversò nel 1914 le strade di Mosca con il corpo e il volto dipinto da immagini e frasi destinate a scandalizzare i benpensanti. Un secolo prima delle manifestazioni femministe delle Femen, la Goncharova invitava le donne a credere di più in se stesse, nei loro sforzi e nei loro diritti.
Apollinaire sottolineava come il movimento, nella sua arte, fosse una “danza ritmata dall’entusiasmo” , ne è un esempio l’opera Aeroplano su treno del 1913.
Prima donna ad essere definita “leader dei Futuristi”, in realtà interpretò i temi del Manifesto in maniera molto personale, rivendicando la specificità dell’avanguardia russa, che ricercava fonti di ispirazione nelle forme d’arte tradizionali.
L’opera Ciclista del 1913 è la sua interpretazione del tema futurista della velocità, attraverso la ripetizione di marcate linee nere e testimonia la ripresa del principio di simultaneità dei futuristi. L’esposizione ci consente un confronto parallelo con Studio per Dinamismo di un ciclista, realizzato nello stesso anno da Umberto Boccioni.
Nell’interpretazione di Natalia, differentemente da quella di Boccioni, in cui il contesto si perde, riconosciamo i connotati di un ambiente russo.
“L’arte del mio Paese – diceva – è incomparabilmente più profonda di tutto ciò che conosce l’Occidente”.
Pur condividendone l’amore per il progresso e la voglia di scandalizzare, valori che fece suoi, la Goncharova non aderì mai al pensiero dei Futuristi che ritenevano “la guerra, sola igiene del mondo” e offrì invece una visione apocalittica dei conflitti. Le litografie realizzate intorno al 1914 sono, come le definisce l’artista, immagini mistiche della guerra e rivelano la sua sensibilità verso gli orrori dei conflitti. Ad esse è dedicata una intera sala, “La Grande Guerra”, dove le carte da parati riprese dalle sue opere lasciano il posto ad un allestimento soffuso, in grado di restituirci il suo lato più intimo.
La mostra ospita inoltre opere inedite, alcune mai esposte prima e si chiude con la sezione “Dopo la Russia”, in cui ci addentriamo dalla rappresentazione del folclore russo che emerge dall’Autoritratto con gigli gialli, nella coloratissima influenza che ebbe su di lei la tournée spagnola del 1916, fonte di suggestione per una serie di opere conosciute come Donne spagnole. Queste figure ricordano per la ieraticità e il formato i precedenti dipinti sacri ispirati alle icone, ma mostrano, nei costumi, un decorativismo accentuato, caratterizzato da mantiglie, merletti, pettini e ventagli.
Alla ricchezza di particolari di queste ultime si contrappone l’opera Tre Giovani donne, in cui Natalia coniuga le geometrie formali con la matericità pittorica, fino ad approdare, con l’imponente l’opera Le bagnanti, verso la sintesi formale cubista. Le figure sono realizzate con blocchi colorati dai contorni netti e resa materica e dimostrano come la Goncharova abbia sempre avuto “occhio per il colore ma impregnato nella forma”.
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