Una straordinaria, caparbia, meravigliosa vicenda culturale lunga più di sessant’anni è quella raccolta in Triennale a Milano nella mostra Gae Aulenti (1927-2012). Si tratta di un intreccio di connessioni, relazioni, incontri, spazi, oggetti, scene che danno forma a quello che il curatore Giovanni Agosti ha definito come un labirinto di oggettive ricostruzioni partendo da una confidenza che la Aulenti fa a Alberto Arbasino: «Elaborare delle forme equivale a creare dei legami emotivi». Giovanni Agosti è storico dell’arte che ben conosce i processi analogici di connessione e riscrittura della Storia nella sua molteplicità avendo studiato a fondo la lezione di Aby Warburg in cui personale, oggettivo, visivo e critico si connettono nella restituzione della complessità di una figura tentacolare e carismatica come Gae Aulenti. La mostra rinsalda il lungo rapporto che intercorre tra l’architetto e designer italiana e l’istituzione milanese, un legame che è cominciato all’alba degli anni Cinquanta del Novecento proseguendo fino al 16 ottobre 2012, quando Gae Aulenti riceve la Medaglia d’Oro alla carriera per il contributo fornito all’architettura italiana.
È da ricordare a un anno dalla sua scomparsa anche la mostra – tributo curata, con grande eleganza e sapienza, da Vanni Pasca nel 2013 per il Triennale Design Museum. Gae Aulenti. Gli oggetti. Gli spazi sottolineava, attraverso una selezione dei suoi progetti di design più significativi: la poltrona Sgarsul, la lampada King Sun per lo showroom Olivetti di Buenos Aires, la serie di mobili Tennis, l’allestimento per la XIII Triennale di Milano (1964), i colori per le produzioni Venini, la cultura di questa straordinaria protagonista del progetto. Razionalismo, good design vengono reinterpretati con una sensibilità Neoliberty. Si pensi alla lampada Pipistrello, all’ironico approccio alla pratica dell’assemblage e all’assorbimento dei movimenti d’avanguardia di inizio Novecento, di particolare evidenza nel Tavolo con ruote del 1980 per FontanaArte. Progetti, spazi e oggetti capaci di attivare narrazioni ricche di emozioni personali e più in generale, collettive. Sembrano collegate da un’intensità vivificante la mostra di Pasca e quella in corso dove l’intenzione curatoriale è, per entrambe, quella di esaltare la storia professionale e umana di Gae Aulenti. Come ha sottolineato Stefano Boeri, Presidente della Triennale, questa retrospettiva è un ulteriore omaggio di Milano a Gae Aulenti e viene messa in scena proprio negli spazi della Galleria da lei magistralmente progettata negli anni Novanta, «è dunque la conferma di un debito di riconoscenza che la cultura italiana ed europea hanno verso una loro protagonista».
La mostra è una ricostruzione delle molteplici attività dell’Aulenti restituite in maniera scenografica grazie all’allestimento di TSPOON e la collaborazione dell’Archivio Gae Aulenti. Colpiscono, in particolare, le riproduzioni in grandezza naturale 1:1 di tredici progetti di diverse tipologie: allestimenti di mostre e di musei, case private, showroom, stazioni di metropolitana, scenografie teatrali, che intendono presentare una sequenza di ambienti che il visitatore può esplorare, vivere in una sequenza drammaturgica che, senza soluzione di continuità, restituisce il senso di una vita, fatta di caparbio amore per il proprio lavoro. Un viaggio, un percorso a stazioni significanti che comincia nell’euforia degli anni Sessanta con la ricostruzione di quell’Arrivo al mare che proprio in Triennale si era visto, ed era stata premiato nel 1964, con nugoli di sagome di donne di Picasso riflessi sugli specchi, per arrivare a un frammento del piccolo aeroporto di Perugia (2007-2011), intitolato a San Francesco, con le membrature architettoniche dipinte nel rosso prediletto da Gae Aulenti.
È lo stesso curatore a parlare di «messa a punto del congegno drammaturgico, all’esterno del quale corre una mostra d’architettura, apparentemente tradizionale, da cui si può sbirciare all’interno della macchina evocatoria – come nell’Étant donnés di Duchamp a Philadelphia, spolverato però da un ricordo dell’allestimento di Formes et recherche della stessa Gae». Il Negozio Olivetti a Buenos Aires, un salotto borghese sulla Riviera ligure, un frammento dell’Elektra di Strauss/Hofmannsthal alla Scala fino alla stazione Museo della metropolitana di Napoli, sovrastata dal calco della testa bronzea equina di Donatello. Nasce così un ulteriore intreccio narrativo dove la connessione tra le fotografie di Mimmo Iodice, i versi al neon della Commedia di Kosuth e i tesori del Museo Archeologico creano un mix postmoderno di complesse e stratificate relazioni culturali che la Aulenti gestisce e vive con grande naturalezza. Giovanni Agosti impagina, scrive, ricostruisce la Storia della Gae nella convinzione «che gli apici della propria creatività Gae Aulenti li abbia raggiunti all’interno della sua vocazione teatrale (questo non significa unicamente, per intendersi, nei suoi impegni da scenografa). D’altronde qualcosa del genere lo affermava pure Manfredo Tafuri e mi pare perciò di essere in buona compagnia». Tra le innumerevoli collaborazioni, amicizie, committenze, da Olivetti agli Agnelli, da Milano a Parigi, dal Museo D’Orsay alla Stazione Cadorna. Ago e filo intrecciano la storia e le storie di una vita dove è Luca Ronconi, lo straordinario regista, artista di memorabili messe in scena a restituire tutta la meravigliosa umanità e creatività di Gae Aulenti attraverso poche sintetiche parole legate a quel rivoluzionario progetto che è stato il Laboratorio di progettazione teatrale di Prato : «C’è in ballo, in questo cenacolo di utopie, un metodo di recitazione e una ricerca sullo spazio che, con l’intervento di Gae Aulenti, segna con linee immaginarie il territorio di Prato». Sia Ronconi ma soprattutto la Gae hanno segnato indelebilmente la cultura moderna e contemporanea.
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