Human Tools è l’ultimo lavoro di Nico Angiuli, curato e promosso da Cittadellarte-Fondazione Pistoletto. L’artista è tra i vincitori della III edizione del bando Italian Council (2018), concorso ideato dalla Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane (DGAAP) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, per promuovere l’arte contemporanea italiana nel mondo.
Un’installazione filmica ad ampio raggio sociale ci introduce nel lavoro di Angiuli, facendo incontrare due argomenti. Il primo, è la modalità di sfruttamento con la quale l’uomo viene costantemente privato della dignità lavorativa, ovvero, il caporalato, un tema particolarmente sentito dall’artista, seguito da circa dieci anni. Il secondo è l’etica della robotica, analizzata attraverso la proposta di una copia umana/robotica di una sexdoll, per riflettere sul divario tra la “cultura dello stupro” e il rispetto della vita nelle sue varie forme, come quella del simulacro robotico.
Lo spettatore è al centro della proiezione ed è costretto a rincorrere gli undici personaggi seguendo le loro voci, muovendosi dal centro della stanza, da un punto nevralgico che responsabilizza il fruitore, facendolo diventi parte dell’installazione. L’opera si anima e interpreta un personaggio fantastico, sagomato in un presente ipotetico che ricalca esperienze di vita arcaiche o future, tra traumi e giochi di dominio.
Angiuli ha specificato che «Il dialogo rotondo è una forma democratica di discussione, non ci sono spigoli, l’uomo al centro». Una critica all’umanesimo? Forse. Siamo noi la questione sulla quale queste persone discutono? Probabilmente.
In occasione della presentazione del film, abbiamo rivolto alcune domande all’artista, che ci ha raccontato il suo lavoro, dalle varie accezioni della robotica alle similitudini con la schiavitù del diritto latino.
Gli attori interpretano alcuni personaggi ai confini della comunità d’appartenenza, altri ai margini della società o narrano una storia antica. Hai creato una interazione tra attore-personaggio?
«Ogni personaggio ha diverse sintesi. Usmai, interpreta l’aiuto cuoco, schiavo, di una domus romana. Ora lavora presso la Domus Letiziae. Il viaggio compiuto per arrivare in Italia, è stato un viaggio violento. Ha pagato trafficanti che lo portassero in Italia, e nel percorso ha visto gente morire chiusa in sacchi sulla neve delle montagne siriane. Quel percorso è lo stesso degli schiavi romani conquistati durante la guerra dalle Indie. Ho cercato una forma di contatto tra persona e personaggio. La fondazione Pistoletto ha individuato una rete locale di attori e abbiamo ottenuto un matching point tra le persone che conoscevo e i personaggi che avrebbero interpretato. Ho deciso di animare alcuni personaggi a seconda di chi interpretava. Gli attori erano presenti quando abbiamo ospitato sindacalisti, ingegneri dell’intelligenza artificiale e antropologi che parlavano di comunismo albanese e come cercasse di costruire il pensiero degli uomini. Il metallurgico albanese, nel film, parla con le parole del partito. Lo stesso attore è albanese, ha vissuto quel comunismo sulla propria pelle e nel film porta il proprio nome. Queste sovrapposizioni non sempre avvengono, ad esempio la donna che interpreta la concubina africana, Nikiki, è biellese; lei canta, è appassionata di Biella, e non ha mai avuto uno scontro diretto col territorio».
Il personaggio Nikiki parla in terza persona, come se celasse la parola. Perché?
«Nikiki parla come una bambina, ma in realtà è la voce del marito. Il testo che lei usa nel film è estratto dal libro I giorni di pioniere, Alphonse, nel film, è Alfred. Da un lavoro sull’archivio olandese di expat è emerso del materiale su questo uomo in Congo. Egli ha sposato una donna che morì durante il parto. Ovviamente poi sposa la sorella della defunta moglie. Lui fa una Iliade di questa storia amorosa ma è la penna di un uomo bianco di cento anni fa che sposa una adolescente di 15 anni. Dalle immagini emerse risultano parecchie fotografie dove lei non compare, tranne in una dove è nuda. Non c’è nessun tipo di scambio umano. La famiglia della ragazza intuisce che l’uomo bianco porta benessere e l’uomo bianco sa che la donna nera è necessaria per avere protezione».
Esiste un dialogo tra l’operaio 167 e l’operaio del partito? Si nota una disillusione, una provocazione sarcastica e disincantata estremamente contemporanea.
«La generazione che si avvicina alla maturità ha la necessità umana di compiersi, di vivere una parabola e quando non possiamo, non riusciamo a percepire la nostra. Amazon è una espressione di questo, di come siamo costretti dentro una posizione. Ricordiamo quali erano le aspettative che certe lotte avrebbero dovuto compiere e raggiungere. 167 è appiattito ma mantiene una parte di sé ancora attiva, è passivizzato da questa situazione, standardizzato, però mantiene una capacità critica. Il film mette in relazione diversi tempi storici. Il metallurgico albanese ha vissuto una forma di dominazione del pensiero, un tentativo di replicare un pensiero, un modus operandi e un modus vivendi che l’ideologia di quel tipo di comunismo proveniente dall’idea dell’uomo nuovo marxista ha cercato di standardizzare, in questo senso ecco ancora un robot».
Silvia Barolo
Mostra visitata il 25.05.2019
Nico Angiuli – The Human Tools
Biella
Il film “The Human Tools” di Nico Angiuli è visibile a Cittadellarte ogni sabato e domenica dalle 14.00 alle 18.30 in visione libera; è inoltre visibile durante la settimana solo su prenotazione per gruppi di almeno 5 persone. Per prenotazioni: 015.28400 oppure 331.6676212
Cittadellarte – Fondazione Pistoletto
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