Con la personale di Nicola Vincenzo Piscopo, “Collirio” a cura di Sara Maietta, si è inaugurata la nuova stagione espositiva della Galleria Marrocco nella splendida cornice di Palazzo Venezia in via Benedetto Croce, a Napoli. Artista di origini napoletane, Nicola Vincenzo Piscopo ha incentrato la sua ricerca sull’arte come esercizio di pensiero ed esperimento esistenziale. Altro tema ricorrente è quello della pittura che parla della pittura stessa.
In “Collirio” è il ruolo stesso del pittore ad essere messo in discussione facendo i conti con una crisi del proprio linguaggio diventato sempre più limitato ma soprattutto schiacciato dall’avvento dei media digitali. Con i social network si è arrivati poi alla saturazione definitiva della comunicazione visiva, la quale ha incrementato in modo ossessivo i propri ritmi di produzione determinando un forte sconvolgimento nell’esperienza del fruitore che viene investito da un’inflazione di immagini senza precedenti. Ciò che ne consegue è da un lato il senso di nausea, rigetto per l’enorme mole di informazioni e, dall’altro, un impoverimento linguistico palese nella società contemporanea. Piscopo non è solamente un valido e talentuoso pittore, ma ricopre anche il ruolo di insegnante e, da questa prospettiva, ha potuto notare, in un periodo storico di DAD forzata, l’alienazione dei propri alunni che si perdevano davanti agli schermi, spesso rapiti dall’attrazione dei social network.
Da qui nascono le sue opere che riprendono soggetti celebri della storia dell’arte e della nostra società , riportate su tele del formato 16:9 e deformate come se vi fossero applicati dei filtri digitali, chiara allusione alle Instagram stories di cui tutti, o quasi, siamo artefici e vittime inconsapevoli. Su una delle pareti della galleria si stagliano poi, quasi minacciosi, una serie di occhi umani dipinti ad aerografo. Sono i Device, dispositivi intesi sia come elemento grazie ai quali ci è permessa la visione fisica, sia come strumento di controllo imposto dalla società . Questi device sono, allo stesso tempo, anche immagini che appartengono a personaggi famosi e, come tali, sono oggetto di consumo da parte dello spettatore, che le divora metaforicamente ma anche materialmente, come si può notare dai segni dei morsi presenti sulle opere esposte. Strumenti, dunque, dalle molteplici valenze, in grado di controllare l’essere umano, di influenzarlo e di nutrirlo rispondendo a una voglia avida, che lo conduce verso un meccanico svuotamento di se stesso.
Come ha scritto la curatrice, Sara Maietta: «La produzione artistica di Nicola Vincenzo Piscopo rivela, pertanto, un’allucinazione autodistruttiva dell’approccio contemporaneo all’esperienza del vedere. Gli inviti a riflettere sono molteplici: il ruolo del pittore contemporaneo, la crescente desacralizzazione dell’arte che si piega ai fini pubblicitari e consumistici, lo svuotamento di senso che la fruizione odierna dell’immagine comporta e l’inversione del rapporto vittima-carnefice, in cui è la società a essere oppressa da una bulimia dilagante a causa della condotta individuale. Permane, tuttavia, uno sguardo fiducioso seppur contradditorio: la cruda narrazione angoscia e perplime, ma il racconto del fenomeno, nella bellezza, si propone come un collirio per una vista fin troppo arrossata e corrotta».
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