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Niente di antico sotto il sole: a Tagliacozzo stupore e incanto per la realtà e le sue rappresentazioni
Mostre
Dario Carratta, Marco Emmanuele, Federika Fumarola, Genuardi/Ruta, Alessandro Giannì, Fabio Giorgi Alberti e Andrea Polichetti: sono loro, accompagnati da un testo di Vasco Forconi, a dare forma a Niente di antico sotto il sole, il progetto che Contemporary Cluster presenta in occasione della X edizione di CONTEMPORANEA VENTIVENTITRE (fino al 10 settembre), ideata e diretta da Emanuele Moretti, con il patrocinio del MiBACT, la promozione di Associazione Culturale ARTEiX e Comune della Città di Tagliacozzo, e il supporto di Regione Abruzzo, Fondazione Carispaq e BCC di Roma
Scrisse, Jorge Luis Borges: «Non c’è niente di tanto antico sotto il sole». Quando questo verso di La dicha (La felicità) raggiunse Luigi Ghirri, era già successo che la luce gli avesse insegnato a rinnovare l’anima degli oggetti, ha ricordato Francesco Zanot nella premessa di Niente di antico sotto il sole, «mappa intimissima dell’uomo che fece della fotografia un sentimento dello spazio», scrisse Marco Missiroli recensendo il volume.
«Tutto accade per la prima volta, ma in un modo eterno. Chi legge le mie parole le sta inventando», concludeva la sua poesia Borges, lasciando – forse – sottintendere che tutto (nel nostro caso, qualunque immagine) potesse diventare possibile. Qual’è, dunque, lo spazio d’azione per l’arte contemporanea? Ognuno a modo suo, pur dialogando l’uno con l’altro, gli artisti di Contemporanea Ventitré tentano una riattivazione dello sguardo.
Se la domanda è, allora, cosa resta perché il nostro modo di guardare non sia una forma di cecità di percezioni e di sensazioni, la risposta di Federika Fumarola e di Fabio Giorgi Alberti ci coinvolge in un non marginale dialogo di pausa e di riflessione. Due Paesaggio Relazionale di Fumarola, che fin dagli studi liceali indaga la percezione approfondendola nei suoi stati latenti, demistificano le immagini stereotipate, riconoscibili a priori e mistificatorie della realtà. «Nel corso della mia ricerca, astratta ma sempre originaria da un dato reale, ho preso i passaggi di materia, di cui i fenomeni atmosferici sono un esempio, come punto di partenza per addentrarmi, ancora di più, nel terreno dell’astrazione e indagare il paesaggio, anche quello umano. Paesaggio Relazionale, come esprime anche il titolo, evoca non soltanto l’idea di qualcosa – in questo caso il paesaggio circostante di Tagliacozzo, che ho frequentato, rivedendolo nel passato, nei ricordi e nella memoria – ma vuole comunicare la relazione con il tempo presente e con tutti i fruitori, a partire da me, a cui l’immagine può dare vita», ha raccontato Fumarola.
Il paesaggio di Fumarola, che formalmente risponde al concetto di all over, cui sta lavorando da diversi anni creando superfici aderenti alla tela con una pittura molto leggera e poco materica, fa da contraltare al terreno dell’analogo e aiuta la percezione dell’uomo nel passaggio tra mondo e conosciuto e mondo da conoscere, che è metafora dello sforzo del nostro stare al mondo. Lo stesso sforzo che torna nelle opere con cui Fabio Giorgi Alberti restituisce, tout court, il senso dello slittamento della percezione dei diversi mondi che si possono formare. «When my eyes are in your eyes I see my eyes look at your eyes» (Quando i miei occhi sono nei tuoi occhi, vedo i miei occhi guardare i tuoi occhi) è la frase che Giorgi Alberti ha inciso – «grattando la superficie specchiante» – su uno specchio (inedito e della stessa dimensione, 140×90 cm, del paesaggio di Fumarola) che amplia e moltiplica, simultaneamente, le possibili interpretazioni. «Questa frase, che ho scelto di scrivere di in inglese perché metà delle mie origini sono anglosassoni, potrebbe essere letta in molti modi dal punto di vista dell’Eros, piuttosto che dello sguardo, oppure della creazione, ma anche dell’esperienza estetica. Di fatto apre alla possibilità di guardarsi mentre si guarda, vedendo il proprio corpo e la propria persona in uno specchio che non è più e non è soltanto l’oggetto di uso comune ma, decontestualizzato, è diventato un’opera d’arte».
La tematica dello sdoppiamento del senso e della percezione, sia essa nella forma dell’identificazione paradossale o dell’errore, è ricorrente nella ricerca di Giorgi Alberti, nello specchio come nelle sedie, dall’aspetto decisamente archetipico, a cui è impedita l’ordinaria funzionalità. Entrambi gli oggetti che sceglie di utilizzare nell’atto della sua creazione artistica hanno molto a che fare con l’eterno mito della conoscenza umana come anche con l’atto del vedere oltre l’effetto sensazionale con innocenza, determinazione e pazienza.
Intorno alle ricerche di Fumarola, che in passato ha molto lavorato sulla percezione dell’uomo dallo stato di sonno / sogno a quello di veglia (Immagini del risveglio) e di Giorgi Alberti che «rompe il giocattolo del mondo per vedere meglio come funziona», le figure maschili imponenti, fragile e solitarie di Dario Carratta tentano, in maniera quasi bestiale, di fondersi con il paesaggio naturale, specchio e riflesso del loro mondo interiore. Come l’uomo della sabbia di E.T.A. Hoffmann, così le opere sono un chiaro simbolo, pittorico, di quella dimensione familiare e perturbante in cui realtà, sogno e allucinazione attingono informazioni e suggestioni. Metafore e a volte arcani, queste figure dialogano con un’esile scultura in ferro battuto di Andrea Polichetti, che in mostra presenta anche i protagonisti astratti e inconsapevoli (il fil di ferro, la carta vetrata, un rotolo di pluriball e i detriti dello studio) di un racconto intimo e autobiografico, quello di un’adolescenza dedicata al mestiere dell’arte, su una grande tela di iuta (Senza titolo, 2023).
Di fronte a quest’opera, all’apparenza non figurativa in realtà espressione pittorica fortemente gestuale, una composizione pittorica e scultorea matura di Marco Emmanuele introduce gli altri suoi interventi, disseminati nello spazio, accomunati dalla presenza costante del vetro quale principale mezzo espressivo. Alla testa dell’acqua è una scultura in bronzo e vetrofusione velatamente ispirata dalle rappresentazioni medievali della fanciullezza, in dialogo con l’opera di Alessandro Giannì sviluppata da una rlessione sullo statuto contemporaneo delle immagini, pittoriche e non solo, attraverso il dialogo con un’intelligenza artificiale, ironicamente soprannominata Vasari. Uno spazio compreso tra lo zero e l’uomo è invece un gentile intervento site-specific con cui, con fare minimale, Emmanuele applica piccoli fori in una delle finestre del palazzo in cui dispone rametti di rosmarino creando un varco, simbolico ma tangibile, tra lo spazio interno e quello esterno.
A proposito dello spazio, scrivono i Genuardi/Ruta: «Nell’ora colma della fumosa estate osserva e propone tre enigmi di serbatoi e di immagini. Attraverso le relazioni tra elementi architettonici e naturalistici, l’opera crea un habitat, una figura abitativa. Diverse sagome popolano lo spazio – da una misteriosa apparizione nera ad altre molto sature – costruendone uno nuovo e ricordando, soprattutto a noi che ne siamo rimasti affascinati, le cromie pompeiane e le architetture del Marocco. È chiaro che l’architettura ha una natura minerale, per cui ci sembrava interessante proporre una visione che restituisca visivamente il ciclo che conduce dalla natura all’architettura, dall’uomo alle cose e viceversa. L’opera muove dal paesaggio, dalla luce che lo attraversa volendo interpretarne i valori semantici. Tre pareti, tre ritmi e tre situazioni diventano un unico ambiente. Nell’ora colma della fumosa estate dialoga con la struttura della sala, si forma con essa, la ingloba e ne estende i limiti visivi, così che l’architettura sia, oltre che il suo supporto, la sua stessa ragione».
«Un insieme di piccole costellazioni da unire fra loro, per tracciare un itinerario possibile». Come all’inziio, così anche alla fine, le parole di Ghirri tornano a noi sussurandoci la possibilità di guardare a Niente di antico sotto il sole come differenti modi di trasformare e trasformarsi, andando oltre il percepibile, per scongiurare la perdita dello stupore.
Non so se mi sono persa nella dettagliata descrizione delle opere, ma dove si trova questa splendida mostra?
Al Palazzo Ducale di Tagliacozzo