«Miracolosamente, sporgono dal muro, sopra le nostre teste, fuori portata. Ci sforziamo di capire la loro orizzontalità senza peso, la loro scintillante instabilità. Spingendo i materiali ai loro limiti, l’artista trasforma la galleria in una galassia dove le nuove leggi della termodinamica, della gravità e del movimento vengono messe in atto in modo indescrivibile. Bryan Hunt trasforma l’atto del guardare in un’esperienza sconcertante e non comune, quasi soprannaturale», parola di Jerry Saltz, e preziosa chiave di lettura di Recent Works, la mostra che raccoglie alcune delle opere più iconiche di Hunt, sviluppate grazie al suo interesse per l’architettura e lo spazio.
A proposito di architettura e di spazio, la sensazione immediata che si avverte entrando nello spazio della Galleria Thomas Brambilla è quello di uno spazio fisico costruito dall’uomo, di uno spazio artificiale che si mescola con quello esistente integrandosi a esso e attingendo da esso come al proprio necessario alimento, e che tuttavia dal proprio essere artificiale – ovvero letteralmente “inventato” – trae i suoi esiti migliori. Ma andiamo con ordine e risaliamo all’origine dell’ispirazione di Hunt, ovvero i dirigibili del primo Novecento, che ha rivisitato frequentemente a partire dagli anni ‘70. Le opere della serie Airships, che dei dirigibili replicano la forma, sono realizzate in legno di balsa e abete rosso ricoperto di seta e foglie di metallo e sono progettate – e montate – per dare l’impressione di essere sospese nello spazio, sopra le nostre teste e fuori dalla nostra portata, contro ogni apparente previsione gravitazionale.
«L’ambiente che ci circonda ci offre continue possibilità di esperienza, oppure ce le riduce. Il significato umano fondamentale dell’architettura proviene da ciò. […] L’azione personale può spalancare nuove possibilità di arricchire l’esperienza o può precluderne; o agisce prevalentemente in modo da convalidare, rassicurare, incoraggiare, sostenere, favorire, oppure in modo da invalidare, rendere incerti, scoraggiare, minare, reprimere. Può essere creativa o distruttiva. […] Se siamo privati dell’esperienza siamo defraudati dei nostri atti; e se i nostri atti ci sono, per così dire, sottratti come giocattoli dalle mani dei bambini, siamo privati della nostra umanità». La citazione dello psichiatra e psicanalista scozzese Ronald D. Laing con cui Henry Plummer apre La politica dell’esperienza sembra risuonare ad hoc con l’opera di Hunt che modifica, e impronta di sé, la qualità dello spazio. È lo stesso Hunt ad affermare che «Affrontando proporzioni, equilibrio e luce, trasformano un ambiente e superano i suoi confini. Rappresentano tanto un’osservazione dall’alto del nostro pianeta quanto una contemplazione della nostra esistenza, come se guardassimo verso un’astronave senza peso».
Queste opere, di fatto, costituiscono una risposta sofisticata e idiosincratica alla scultura classica e moderna, all’interno di Recent Works Thomas Brambilla dà spazio – e vista – anche alla serie di opere a cui Hunt, negli ultimi anni, ha rivolto maggiormente la sua attenzione: i Pods, piccole e colorate strutture architettoniche a forma di dirigibile – che si ispirano agli Airships – evocative di un senso di leggerezza e fluidità.
Esplorando il complesso legame tra scienza, architettura e filosofia, i Pods, come gli Airships, ci fanno davvero percepire e notare il brulicare dell’operare artistico umano quasi al di là – o piuttosto al di sotto – dello strato superficiale della materia, come a dire che dove le opportunità architettoniche proliferano intorno a noi, Hunt ci offre un’idea di libertà apparentemente illimitata.
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