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Notte Oscura. Pauline Curnier Jardin, Victor Man e Miltos Manetas alla Fondazione Memmo di Roma
Mostre
L’ottava edizione di “Conversation Piece” alla Fondazione Memmo, “Notte Oscura”, ha come protagonisti Pauline Curnier Jardin, Victor Man e Miltos Manetas. Curata da Marcello Smarrelli, la mostra prende il titolo dagli scritti di Giovanni della Croce che, quasi in fin di vita durante un periodo di prigioni, raccontò le sue estasi notturne in “Notte oscura dell’anima”.
«Oh, sorte fortunata!»
Come una contemporanea e attualissima grotta di Lascaux, la grotta di Miltos Manetas (1964) ci offre opere di arte parietale realizzate tracciando e cancellando le immagini prodotte da DALL-E, un algoritmo di intelligenza artificiale in grado di generare immagini da descrizioni testuali e di rispondere a richieste del tipo ‘Puoi rappresentarmi Gesù che spiega il metaverso a uno coniglio?’. Manetas realizza, dunque, dei miracoli con una (anti)pittura leggera ed effimera prodotta versando sapone liquido sopra pigmenti di colore. La superficie è fluida, simile allo schermo di un computer, lo sfondo accoglie interventi pittorici continui – notte dopo notte – ma anche proiezioni di altre “forme di vita digitali”, tra cui “ManintheDark.com” (2004), un proto-NFT sotto forma di sito web, dove, come suggerisce il titolo, una figura “umanoide” fluttua nell’oscurità, trasformandosi nella metafora della condizione umana di fronte alla conoscenza, in particolare a quella apparentemente infinita e inesauribile del web. «Nel mondo conoscibile, punto estremo e difficile a vedere è l’idea del bene; ma quando la si è veduta, la ragione ci porta a ritenerla per chiunque la causa di tutto ciò che è retto e bello, e nel mondo visibile essa genera la luce e il sovrano della luce, nell’intelligibile largisce essa stessa, da sovrana, verità e intelletto.» Così parlava Platone del mondo conoscibile, cioè gli oggetti che osserviamo attorno a noi: Manetas ricrea delle “caverne contemporanee” dove «è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano.» (Platone). I suoi interventi continuano, notte dopo notte, perché egli volge lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, approdando al mondo della pura intellezione.
Dai miracoli di Manetas, la mostra prosegue con la condizione femminile su cui Pauline Curnier Jardin (1980) fa cadere il nostro sguardo e la nostra attenzione. L’installazione muove da sei bassorilievi in ceramica smaltata realizzati per il progetto Luna Kino, ispirato al cinema Luna Lichtspiegel, fondato nel 1914 e tenuto aperto durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale da un gruppo di donne. Dal fondo scuro dei bassorilievi emergono delle figure femminili che sembrano illuminate da una luce selenitica e indossano maschere che ricordano le fasi lunari. Queste figure sono ispirate alle trümmerfrauen, letteralmente ‘donne delle macerie’ che rimuovevano le macerie che invadevano le strade delle città dilaniate dai bombardamenti, diventate icone e strumento per accrescere il senso di appartenenza e la voglia di riscatto del popolo tedesco. Forte è il ricordo di una delle immagini più celebri di queste donne, dinnanzi a un carro, pieno di macerie, sovrastato da una scritta “Che cosa si fa per amore?”. Un carretto è nella stessa stanza, in ferro battuto, la sua base sono due cuori congiunti e le candele di cui è pieno, accese, restituiscono sul soffitto in nero fumo colei che tutto può, per amore: la donna.
E come la donna, la natura. Soggetto delle opere di Victor Man (1974), i cui dipinti sono caratterizzati da tinte scure e da una “temperatura” notturna, attraversate da una forte carica introspettiva, giocate continuamente sulla soglia di un’interpretazione che annuncia e rifiuta ogni possibilità di lettura. È un racconto personale, quello di Man, che siamo chiamati a interpretare senza logica temporale imposta, liberi di muoverci tra presente e passato, finzione, immaginazione e realtà. La natura è filtrata dallo sguardo di Man, che cosa possiamo dunque? Cerchiamo di mediare, accettando indecifrabilità delle cose dietro la loro illusoria permanenza. Siamo dettagli, punti di vista con tanti tormenti e un carattere perturbante, oscuro. Ma al di là di questi dettagli, nostri, su cui di volta in volta Man decide di soffermarsi, queste opere contribuiscono a creare un’ambientazione contemplativa e misteriosa in cui è la pittura – con la sua irriducibile presenza – a illuminare lo spazio.
Come esseri umani evitiamo e contrastiamo la prospettiva del cambiamento: è un territorio sconosciuto. «Incominciano l’Anime ad intendere in quella Notte oscura, quando Dio le va cavando dallo fiato (…) »: il buio e l’oscurità, come insegna Giovanni della Croce, sono momenti di attesa e decantazione del pensiero, di ambiguità seducenti e complesse, una fase cruciale nel percorso verso la conoscenza e la rivelazione.
« Notte che mi guidasti,
Oh, notte dell’alba più compiacente!
Oh, notte che riunisti
l’Amato con l’amata,
amata nell’Amato trasformata!»
Abbiamo paura, abbiamo bisogno di un risveglio spirituale.
(Buon VentiVentitre)