La collettiva “Hot Spot – Caring for a burning world” alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma raccoglie le opere di 26 artisti in un percorso espositivo ricco di riflessioni, a cura di Gerardo Mosquera. A dare il nome all’esposizione è l’opera di Mona Hatoum, Hot Spot (2013), che mette in luce come l’organizzazione della società moderna sembra averci condotto alla catastrofe ambientale. I lavori in mostra si fanno portavoce di un attivismo estetico che vuole far riflettere sul nostro rapporto col pianeta e immaginare nuove relazioni possibili, in un linguaggio visivo composto da differenti media.
L’insieme delle opere selezionate traccia una panoramica della complessità dell’attuale questione ambientale, indicando molti punti di vista alternativi alle cronache sul tema cui siamo più abituati. «È naturale che l’arte affronti temi così scottanti: molti artisti nel corso della propria carriera lo hanno fatto in modo militante, reattivo e pertinente, ma questa mostra, invece, contribuisce alla critica ecologico-sociale attraverso un percorso più indiretto, ma non meno urgente e puntuale», così spiega il curatore Gerardo Mosquera che, con “Hot Spot”, amplifica il discorso ecologico con la forza poetica dell’arte. Al centro, il rapporto uomo-ambiente: visioni, relazioni, conseguenze e nuove ispirazioni, quando suggerite, quando più esplicite.
All’inizio del percorso espositivo, le opere di Mona Hatoum e Pier Paolo Calzolari che conducono al riscontro degli effetti negativi che il nostro rapporto con l’ambiente sta causando, coinvolgendo la Terra e i suoi elementi. A parlarci dell’acqua, sono le fotografie di Gideon Mendel sulla devastazione provocata dalle inondazioni e anche l’opera di Kim Juree, Flooded, in cui un’architettura d’argilla si dissolve. L’innalzamento del mare è invece il tema specifico per Ange Leccia.
La crisi del rapporto uomo-ambiente si ripercuote anche sugli equilibri del mondo animale e vegetale. Davide Rivalta ci porta a riflettere sul problema dell’estinzione, proprio della specie dei gorilla che, all’ingresso della Galleria, si pongono fra i visitatori che entrano. La crisi della biodiversità, dovuta anche all’eccessiva estensione delle aree urbanizzate, si manifesta nelle opere di Daphne Wright, Ida Applebroog e Alejandro Prieto. Diverse opere di “Hot Spot” testimoniano l’inversione di rotta del nostro rapporto col pianeta e gli altri esseri che lo abitano, condizionato da modalità che si stanno rivelando non più appropriate, a volte contraddittorie e nocive. È il caso dell’abbraccio affettuoso che il pescatore dà al pesce agonizzante nel video di Jonathas de Andrade o dell’uomo che tenta di istruire le piante nel video di John Baldessari.
Dall’animale agli oggetti, ai rifiuti: la crescita esponenziale e fuori controllo della popolazione umana, oltre a essere causa di una moltitudine di spazzatura, sbilancia anche i normali meccanismi naturali. Lo si vede nell’opera di Chris Jordan e in quella di Allan Sekula. Rachel Young porta sotto i riflettori il rapporto macchina-vegetale: le piante in agitazione nelle sue sculture sembrano richiamare l’attenzione sulla scarsa considerazione per l’ambiente. Accanto a queste, l’albero è l’essere vegetale che hanno scelto Johanna Calle, Cecylia Malik, Michelangelo Pistoletto e Alex Cerveny per le opere selezionate di “Hot Spot”.
Se da una parte è evidente la critica al comportamento umano, dall’altra gli artisti ci ricordano l’armonia della natura che accomuna tutti gli esseri della Terra. Una coincidenza di corpi e di forme in uno stesso riflesso che appartiene a uno schema antico. Cristina Lucas e il duo Ibey parlano del ritorno ai primordi del rapporto uomo-natura. L’una attraverso l’abbandono della società per una scelta di vita selvatica, l’altro con un canto che richiama la dea yoruba dell’acqua dolce pronunciato da due ragazze abbracciate da onde calme. Una fluidità che torna nella cosmologia di Sandra Cinto: bianco su nero si snodano le linee di una geografia universale su un’intera parete della Galleria, quasi a ricordarci l’immensità di cui, anche essendone solo un piccolo puntino, facciamo parte.
“Hot Spot” è una narrazione corale sulla nostra vita qui e ora, partecipi di una realtà così complessa quanto ricca che, nella natura, ci restituisce tutta la sua bellezza, nonostante il male da noi provocato. Tra gli altri in mostra, ne parlano anche Ayrson Heráclito e Joceval Santos, con la loro “pulizia cerimoniale” del mondo, dalla tradizione brasiliana yoruba. Poi, Raquel Paiewonski che fonde l’elemento umano con quello naturale, in una mano-radice commestibile. Lì dove ha inizio il percorso espositivo, un messaggio metaforico: il pianoforte fiorito di Glenda León, rotto e scomposto ma ancora fertile per nuovi inizi.
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