OBEY: The Art of Shepard Fairey porta per la prima volta in Italia uno degli street artisti più influenti ed acclamati a livello internazionale e racconta i 35 anni della sua produzione, tra pezzi iconici e opere create appositamente per l’occasione. I lavori in mostra rappresentano la coerenza e l’audacia provocatoria di Shepard Fairey nell’affrontare temi di politici e giustizia sociale. Un’estetica, quella di Obey, nata non solo a partire da ispirazioni visive come la Pop art e la corrente Punk Rock, i manifesti di propaganda, le copertine dei vinili e i motivi grafici degli skateboard, ma anche dalle limitate possibilità finanziarie e dal desiderio di produrre immagini comprensibili, utilizzabili da tutti e divulgabili nell’interesse di una conversazione democratica sulle questioni e sul ruolo dell’arte stessa.
In mostra, una collezione di opere più o meno recenti che combinano una complessa sovrapposizione di materiali e tecniche per creare superfici sofisticate e miscele di grafica e pittura: «Le radici del DIY, del fai-da-te persistono nella mia etica di responsabilizzazione e informano il modo in cui concepisco e produco arte». Per Shepard Fairey l’arte è innanzitutto comunicazione e rispetto e deve essere usata come strumento efficace per contrastare la tendenza all’isolamento sociale e la sottomissione passiva alle dinamiche economiche e di potere. Un linguaggio visivo che sin da principio ha portato l’artista ad uscire dalla propria comfort zone e a plasmare un intervento linguistico innanzitutto esistenziale, fenomenico ed esperienziale: «L’arte è attivismo e deve sempre trasmettere valori di onestà e rispetto umano, affrontando le paure e i traumi del nostro tempo per riconnettere le persone e tornare al confronto».
Una mostra di qualità altissima, nelle parole della dirigente di Fabbrica del Vapore Maria Fratelli, e in cui si mettono in luce tematiche impegnate sul fronte politico e sociale: «Si può e si deve fare arte per condividere valori e ragioni, in un momento in cui il consenso e il dissenso non vanno mai dati per scontati».
Anche l’Assessore Tommaso Sacchi sottolinea l’importanza delle tematiche universali di Obey quali pace, uguaglianza, giustizia, tutela dell’ambiente e universalità della musica: «Nulla è più importante in questo momento storico che sottolineare, come afferma l’artista stesso, che non c’è un noi contro di loro; c’è solo un noi». Temi molto attuali dunque, cui è doveroso interrogarsi: un’arte indipendente, quella dei muralisti, italiani e internazionali, una forma d’arte che modula il linguaggio pubblico e la richiesta di una committenza, in cui si indaga il connubio di assenso e dissenso, così come avviene per il giornalismo indipendente.
Curata da Wunderkammern, la mostra è stata ideata ad hoc per al Cattedrale di Fabbrica del Vapore ed è concepita come una città: da una piazza centrale si dipanano cinque percorsi distinti che esplorano le tematiche principali dell’arte di Obey, attraverso una vasta collezione di opere scelte dall’artista, tra pezzi unici e iconici e nuovi lavori inediti che passano attraverso tutte le tecniche artistiche di Shepard: il DIY (fai-da-te) on a budget, la serigrafia, la serialità degli adesivi, lo stencil, la fotocopiatura e il collage, fissati su carta, legno, metallo, che dopo oltre tre decenni rimangono ancora le fondamenta della sua pratica. Le opere si ispirano liberamente alle correnti delle avanguardie del novecento, dalla Pop Art al costruttivismo Russo e in particolare agli artisti Alexander Rodchenko e ai fratelli Stenberg, pervase tutte dalla forte anima punk rock e da riferimenti musicali.
Shepard racconta la mostra come un itinerario nei 35 anni di progressione del suo lavoro, dai 19 ai 54 anni, ricostruiti secondo i fondamentali principi e ideali, dagli inizi alle opere più recenti, ragionando su 5 sezioni tematiche. La prima sezione, ESORDI, prende il via nel 1989, quando da studente Shepard realizza il primo sticker di Andrè The Giant, diventato icona della sua arte. Shepard intuisce il potere delle immagini liberate dei vincoli del messaggio mediatico del potere, e attraverso la campagna Andrè the Giant Has a Posse da inizio ad un esperimento fenomenologico, per far riemergere una consapevolezza nuova e non disciplinata e riflettere sul senso di appartenenza e sul consumismo capitalistico in modo vigile e critico.
La tutela degli ecosistemi e il rinnovamento delle fonti energetiche sono tematiche molto sentite da Obey, che ne racconta i delicati equilibri e le dinamiche armoniose nella sezione AMIBIENTE. Nell’opera Paradise Turns rappresenta il deturpamento del paesaggio causato dall’industria petrolifera: sulla spiaggia di Santa Barbara due bagnanti ammirano il paradiso oceanico in contrasto con le torri di trivellazione petrolifera sullo sfondo.
Tear Flame è una denuncia contro inquinamento, il maltrattamento degli animali, delle foreste e della natura, un invito per progettare un cambiamento. Obey è conosciuto per il suo contributo alla Conferenza Mondiale per i cambiamenti Climatici del 2015 con l’opera Earth Crisis, il cui richiamo è presente in mostra nell’opera A Delicate Balance. Le opere nella sezione PACE E GIUSTIZIA sono bandiera di speranza e pace al servizio del popolo e delle minoranze che tutt’oggi esistono. In mostra sono presenti alcune delle esemplari opere della campagna We The People del 2017, l’iconica Embrace Justice e Muhammad Ali, con cui Obey affronta la tematica del Black Lives Matter e del diritto di voto. È la pace a legare Fabbrica del Vapore con la produzione dell’artista: prima un luogo di produzione di materiale per ferrovie e tramvie, durante la seconda guerra mondiale Fabbrica ha rifiutato di convertisti per la produzione di materiale bellico. Le opere in mostra mostrano simboli di purezza, speranza e integrità, come il Fiore di Loto e la Colomba perché, nelle parole l’artista, «Ironia della sorte, il perseguimento della pace richiede esso stesso una vigilanza militare».
Nella sezione MUSICA l’artista rende omaggio a idoli musicali come Chuck D, Bob Marley e Joe Strummer ritraendo i suoi eroi musicali e ricordando allo spettatore gli stessi valori e messaggi che essi cantavano nei loro brani. The future is Unwritten – motto di fiducia e cambiamento – è il titolo di una delle molte album cover esposte in mostra che si rifanno alle copertine dei vinili originali. «Non tutte le mie opere sono incentrate su questioni sociali e politiche, ma quasi tutte sono ispirate a movimenti militanti e culturali e alle forze di trasformazione della società. Alcuni dei miei lavori utilizzano lo stile della propaganda, visibile nella sezione omonima, e allo stesso tempo mettono in guardia lo spettatore: mai farsi manipolare dall’estetica e dagli slogan della propaganda stessa. Questo studio è frutto di una enorme quantità di ricerca visiva e storica, perché solo così mi è possibile affermare con forza un linguaggio artistico e concettuale denso di senso» spiega Obey. Tra le opere in mostra spicca HOPE, realizzata per la campagna elettorale di Obama e che nel 2008 ha definitivamente consacrato l’artista al successo su scala mondiale.
Nei lavori più recenti di Obey, dalle forme geometriche alla palette minimalista in rosso, nero e beige, notiamo composizioni più armoniose, delicate e dai colori più caldi che diventano un piacevole espediente decorativo per bilanciare messaggi sempre più provocatori. Un esempio nei lavori Swan Song e Icon Stencil with Flames Study, l’evoluzione dello sticker OBEY nato dall’accostamento di colori psichedelici. Dal bianco al nero, Shepard si sposta su uno studio ispirato all’estetica della Op Art e dello Xerox del punk-rock, sempre votato a raccontare la crescente preoccupazione riguardo tematiche come pace giustizia, diritti umani e ambiente.
A coronamento della mostra Shepard Fairey ha realizzato il suo primo murale in Italia nel quartiere Gallaratese, una parete di 33×11 metri ideata nell’ambito della residenza artistica alla Fabbrica del Vapore, e inserita nella cornice del festival di Arte Urbana Manifestival, promosso dalla Fondazione Arrigo e Pia Pini.
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