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Amoroso o civile, patriottico o morale, componimento che conosciamo in forma lirica, con varia forma metrica e strofica, L’Ode [dal lat. tardo ode, gr. ᾠδή affine al verbo ᾄδω «cantare»] di Antonella De Nisco, che pur intreccia e sempre intreccerà, ogni volta in maniera diversa e mai definitiva, suoni e silenzi, non è più solo e non è soltanto una questione di lirismo bensì di visione tout court in cui i sensi, tutti quanti, sono emozionalmente coinvolti.
Racconta Sergio Camin, curatore della mostra, che «All’inizio doveva essere una storia, una storia di quelle con un inizio, una fine e magari anche una morale, l’errore è stato di Antonella che ha chiesto aiuto all’acqua di un torrente. Lo sanno anche i bambini, scorre, cambia, non è mai la stessa. L’hanno capito subito i suoi lavori che, come succede spesso sono molto più astuti dell’autrice (sono ingenui gli artisti) e credo sia così che è nata quest’ode in mutamento, costantemente diversa e apparentemente uguale. Il suono del torrente e oggetti magici che sanno raccontare, ecco la lirica (le liriche), l’ode (le odi), ma siccome si sa che tutte le odi abbisognano d’essere dedicate, per chi è l’ode di Antonella De Nisco? Forse anche per noi, ma solo se sappiamo ascoltare, un’ode a chi ode perché anche i significati delle parole contano nei canti».
L’Ode di De Nisco scorre, veloce, tra muri antichi e nuove speranze, e prende vita con un’opera sospesa nel punto più alto del Rio intitolata OOOOOOHHHHHH. Questa dolce ed entusiasta esclamazione, rassicurante e al tempo stesso sorprendente, è la premessa di una storia che ha come protagonista RAPUNZEL, una giovane fanciulla dalla lunga coda che si affaccia sul Rio, quindi su una dimensione pubblica e praticabile dove anzitutto e alla fine, scambiandosi sguardi, gesti e parole con altri uomini e altre donne, il suo destino è nell’incontro con l’altro. Appare immediatamente chiaro che l’opera di De Nisco, se la si guarda mobilitando gli organi di senso, quelli interiori, quelli intuitivi, dà la possibilità di trasfigurare la sua Ode in un approccio conoscitivo di stampo fenomenologico, capace di svelare l’essenza delle cose seguendo il principio primario della conoscenza, ovvero osservare ciò che si manifesta senza alcun giudizio a priori.
Tra acqua e pietre, proseguendo lungo il percorso che si concentra in forme rassicuranti, che trasmettono in prima istanza un’intuizione di essenzialità ed equilibrio, incontriamo opere come ASCOLTO e VALICHI che metaforicamente e, perché no, anche un po’ sineddochicamente, si lasciano riconoscere come luoghi di sogni: il sogno dell’incontro, per esempio, o il sogno del superamento di una distanza o di una difficoltà che chiede unione. Quale miglior soluzione di una RETE? La tessitura di De Nisco, solida e sospesa unisce, nella realtà e nella rappresentazione, i due versanti del Rio e coinvolge – di nuovo – chi guarda, favorendo la moltiplicazione di interpretazioni e significati.
In un climax ascendente, allo spettatore si dà, continuamente, la possibilità di trasformare un incontro fugace in momento eterno. Se volessimo immaginare l’incontro tra quella giovane fanciulla e un bel giovane sarebbe un “per sempre”: per sempre a guardare e ascoltare Rio Gambis COME DUE GOCCE D’ACQUA – le due poetiche sedute, pensate proprio per la contemplazione dell’ambiente. Se invece volessimo immaginare altri incontri saremmo legittimati a farlo, perché l’Ode di Antonella De Nisco può essere per ognuno autobiografica e per tutti collettiva e la sua comprensione deriva invero dalle rappresentazioni consumate quotidianamente, così come la comprensione della realtà passa attraverso la costruzione, talvolta utopica, di storie ideali.