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The Address Gallery presenta nelle sue sale i recenti lavori di Oliviero Fiorenzi: sono grandi aquiloni dipinti, bloccati per un istante sulle pareti delle sale. Nel forte impatto scenico dell’imposta fissità, la prima percezione è di “cogliere l’attimo” – in bilico tra vita e stasi quasi da teca entomologica – e invita a pensare al senso del divenire evocato dal giocattolo-aquilone, ma anche all’evoluzione del lavoro dell’artista. Le opere – come nota Piergiorgio Caserini nella presentazione – alterano lo spazio, dalla superficie di appensione alla sala tutta, rimandando alla scaturigine del lavoro di Fiorenzi: graffiti che modificavano i contorni del contesto urbano.
Opere che, nel prosieguo dell’excursus dell’artista, si sono liberate da un ambiente fisso all’esterno, per approdare in galleria e di nuovo riprendere il largo con sculture flottanti nell’acqua o nell’aria di spazi circoscritti, naturali e costruiti; l’artista è passato così dai saturi e raccolti disegni murali alla sintesi di composizioni di segnali e simboli.
Una costante ricerca di significanti e significati che ora dà alla luce gli aquiloni, che librandosi nel vento modificano quell’atmosfera in una sorta di “metaverso fisico”. Sono vessilli, macchine volanti che recano a bordo i segni di una sua personale mitopoiesi primigenia; dipinte sui tessuti (di sofisticatissima tecnologia) di cui gli aquiloni sono costituiti, ci sono le figure dell’immaginario infantile, che mostrano da lontano, nel volo dell’aquilone stesso, i sogni e i pensieri della formazione in gioventù dell’artista: icone come cavalli, cow-boys, mani (amiche, nemiche, tribali), armi e falò, mostri arcigni ma benevoli, suggestioni orientali di manga e supereroi, la natura di fiori e frutti. Figure che sono amichevoli e familiari viste da vicino, in sala, nel fermo immagine, ma tornano a essere simboli sciamanici inquietanti, visti da lontano e da terra nel volo.
Questa percezione viene evocata dall’installazione composta da una scultura in foggia di mulino che riproduce il vento e il suo suono, attorniata da opere fotografiche: scatti che bloccano nel cielo gli aquiloni, in alto, dove i disegni e le forme roteano come un magico monito di richiamo ancestrale. Per arrivare, in chiusura della mostra, al video dove li vediamo volare, come levatisi dalle foto che il vento schiacciava sulle pareti dell’installazione, e concludere poi con la quiete rassicurante di un dipinto dove il richiamo alla natura (dei fiori) si afferma come tema centrale.
Un ciclo di opere, dunque, che fanno vivere la continua transizione da uno stato fisico e dell’animo ad un altrove pure in movimento, in un flusso di andata e ritorno, asserzione e rimando, con l’invenzione di uno strumento-opera antico quale l’aquilone, che però si attualizza, quasi in contraddizione, attraverso la tecnologia dei materiali: teli in nylon frutto di ricerca avanzata, cangianti con il mutare del contesto ambientale e delle condizioni atmosferiche, che sono anche poetico substrato delle immagini dipinte.