La mostra di Osvaldo Peruzzi (Milano, 1907 – Livorno, 2004) in corso alla Galleria d’Arte Moderna di Roma aggiunge un altro importante tassello al complesso mosaico del Futurismo italiano.
Estensore del manifesto Plastica della essenza individuale (1941) redatto a Volterra, città passatista, «archeologica e dannunziana» – un documento generosamente fornitoci da Massimo Duranti, presidente dell’archivio Gerardo Dottori e curatore di questa retrospettiva assieme ad Andrea Baffoni – Osvaldo Peruzzi, sullo scorcio degli anni venti, ancor prima di laurearsi in ingegneria al Politecnico di Milano, entra nella cerchia visionaria dei futuristi, frequentando Marinetti, Prampolini, Munari, Fillia.
Più tardi stringerà amicizia anche con Dottori e subirà la fascinazione del linguaggio aeropittorico, come ben documentato nella mostra. Partecipa alla seconda guerra mondiale, viene catturato dagli angloamericani in Tunisia e deportato negli Stati Uniti. Nel ’67 aderisce al Manifesto Futurismo-oggi di Enzo Benedetto nel quale si dichiara con la solita risoluta fermezza avanguardistica (nonostante il trascorrere degli anni) che «Il Futurismo non può essere considerato un movimento di avanguardia delle arti plastiche e circoscritto in un determinato periodo di tempo. Esso è una concezione della vita e dell’arte in senso pieno e trascendente.
Una concezione rivoluzionaria in continuo rinnovamento perché si fonda, appunto, sul divenire delle cose e delle idee». Simultaneità, compenetrazione, splendore geometrico (attinto a piene mani dall’estetica della macchina, altro grande topos marinettiano) e, soprattutto, colore «più puro e intenso possibile», sono gli ingredienti irrinunciabili della plastica peruzziana, apoditticamente dichiarati nel già menzionato manifesto programmatico del ’41.
Le forme «policentriche» escogitate dal pittore milanese, e così sapientemente campite, accarezzano la retina, blandiscono il nervo ottico, attivano magicamente il riflesso corticale della bellezza. Ed invitano lo spettatore a compiere quella sorta di volitiva revulsione interiore necessaria a trasferirlo immaginativamente al centro del dipinto ed a fargli sperimentare, in tal modo, la «sensazione tutta futurista» di totale, istantanea compenetrazione con l’opera d’arte.
In particolare, di fronte a certe Aeropitture, ci è sembrato di cogliere ancora una ulteriore e più intima compenetrazione plastica: l’accordo-sintesi tra la forza-pensiero, veicolata dal rigore geometrico delle linee e dei volumi proiettati sul piano della tela o del foglio, e la forza emozionale, lo stato d’animo fluente dinamicamente nel colore, ritenuto – quest’ultimo- dall’artista, l’elemento «più importante in pittura».
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