Verona di origine preromana ha da sempre una posizione strategica di collegamento tra sud e nord Europa: ciò è compreso dai Romani che lungo una delle grandi anse dell’Adige dove il fiume rallenta il suo corso entrando nella Pianura Padana la colonizzano e nel 49 a.C. la trasformano in municipio romano. Oggi conserva, oltre all’impianto urbanistico del castrum, una notevole quantità di retaggi di quell’epoca i quali ben si sposano con le successive e importanti stratificazioni storiche dando origine a una vivace e dinamica città dal fascino notevole.
Questo contesto ricco di storia e di cultura ben si sposa con l’apertura nell’ottobre 2020 proprio nel cuore antico di Verona (in via Guglielmo Oberdan 11c), a due passi dall’Arena e da Porta Borsari, di un nuovo spazio espositivo della Kromya Art Gallery di Lugano. Quest’ultima, nata nel 2018 nel centro della città elvetica (in via Franscini 11, dove fino al 29 aprile 2024 l’artista Luca Marignoni presenta Il cielo mira, sua prima personale svizzera curata da Luca Massimo Barbero), è cofondata e diretta dal competente dinamismo creativo di Tecla Riva, creando così una prolifica interazione internazionale che arricchisce lo sviluppo progettuale della Galleria.
A Verona, Kromya Art Gallery, diretta dall’appassionato Riccardo Steccanella, negli spazi ottimamente restaurati che raccontano una vita antica, presenta fino al 20 aprile una personale dell’artista svizzero Andrea Gabutti (Manno/Canton Ticino 1961) con un rilevante Corpus di Opere inedite, intitolato S.T. (cioè Senza Titolo) come sua consuetudine. Curata da Marco Franciolli – già direttore a Lugano del Museo Cantonale d’arte, del Museo d’Arte e poi primo direttore del MASI Museo d’arte della Svizzera italiana e ora consulente artistico indipendente, sempre abile nel comunicare con rara, posata ed entusiasta chiarezza – la mostra racconta tramite 25 opere su tela e carta l’evoluzione di temi e tecniche da parte dell’artista. Particolarmente significative in questo percorso alcune opere di grandi dimensioni esposte per la prima volta, oltre a recenti dipinti (a olio su tela) che affrontano la tematica dell’acqua, soggetto nuovo e di grande attualità.
Andrea Gabutti, che vive e opera tra Ginevra e Manno, nasce nella Svizzera italiana e agli inizi degli anni ’80 si trasferisce a Ginevra dove studia diritto alla locale Università e arte all’ École Supérieure d’Art Visuel ESAV: una doppia formazione che si tradurrà in una doppia attività cioè l’insegnamento di diritto (relativo all’ambiente) e la carriera artistica che andrà sviluppandosi dagli anni ‘90 attraverso esposizioni in Svizzera, Francia e Brasile e presenza di sue opere in numerose collezioni museali e private svizzere, comprese quelle di banche.
Come si presenta l’artista? Una persona molto seria, franca, cordiale e con la semplicità propria “dei veri signori” (come si diceva una volta a indicare una grandezza umana completamente indipendente da quella del censo): è stato veramente piacevole, gratificante e arricchente incontrarla attraverso un lungo dialogo in cui il suo percorso alla scoperta di sé è parso un grande libro le cui pagine si aprivano con la genuinità di chi è riuscito, anche se a volte con coraggiosa fatica e dolore, a mettere ordine in quel magma che è il proprio intimo, a volte riottoso e ribelle e soprattutto incapace di amarsi abbastanza. In questo splendido cammino che non tutti riescono a compiere dentro il proprio io, Gabutti ha avuto come mentore l’Arte e proprio attraverso varie sperimentazioni imperniate anche sulla natura e sul paesaggio ha trovato la via della bellezza che genera nuovi dialoghi con chi ammira i risultati del suo lavoro. Ogni giorno ha un bisogno imprescindibile di dedicarsi all’arte che ha assunto anche una funzione catartica quasi che tratteggi, segni e tracce tramite cui dipinge o disegna, dopo averlo liberato dal negativo, lascino fluire quel meraviglioso mix di immaginazione, ragione e sensi che si colgono nelle sue opere.
Come c’è stata in lui un’evoluzione delle tematiche, così è avvenuta quella delle tecniche pittoriche che mostrano il suo piacere nel creare soprattutto quando usa grafite e inchiostro di china, metodologie nelle quali eccelle.
Anno focale del suo percorso artistico il 2012 quando l’artista “incontra” una piccola incisione di Barthelémy Menn (1815-1893), artista ginevrino di grande importanza per la pittura svizzera di paesaggio del secondo Ottocento e per Gabutti stesso perché inizia a trasporre tale opera dai suoi 180×115 mm ai 2200×1500 mm di fogli grandi con un forte salto di scala. In tale modo Gabutti crea disegni monumentali a inchiostro con notevole impiego di tempo e con risultati eccellenti anche di chiaroscuro, rendendo contemporaneo il paesaggio. Un incanto fatto di boschi, intrichi di rami, cascate, giardini e sentieri (interpretato spesso come sentiero che conduce verso l’ignoto, tema simbolista) senza dimenticare il paesaggio alpino irrinunciabile per chi vive in Svizzera. Le rovine dei romantici diventano per lui un ponte di ferro e un contorto gazebo le cui forme si integrano con quelle fluide create dalla natura, il tutto realizzato con inchiostro o grafite e recentemente anche con matite colorate.
E ora c’è l’acqua, anche questa suggerita dal paesaggio elvetico, con le infinite variazioni operate dalla luce che si riflette e si rifrange nel suo splendido fluire in cascate, corsi d’acqua e laghi con una tale molteplicità di forme, varianti e strutture da fornire spunti infiniti per opere che fissino attimi del suo inesauribile e affascinante divenire.
Gabutti nei suoi disegni e dipinti crea, ricrea, rielabora, riprende, rinnova, ricreandosi e rinnovandosi come artista e come uomo – cosa che dovrebbe succedere a ogni individuo – sempre attento a cogliere le nuove sfumature che rendono affascinante la continua trasformazione anche emotiva e intellettiva di chi capisce il fascino del dinamismo e il tedio dell’immobilismo.
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