Cosa significa al giorno d’oggi rileggere in chiave contemporanea uno dei più grandi manufatti architettonici del Rinascimento italiano per avvicinarlo al pubblico e svelarne la complessità e le innumerevoli stratificazioni? Il Palazzo Ducale di Urbino. I frammenti e il tutto, curata da Luigi Gallo e Luca Molinari Studio con l’allestimento di Francesco Librizzi, avvia una riflessione sulla contemporaneità del monumento, al tempo fra i più moderni al mondo, in un passato che ritorna per relazionarsi col presente e ricominciare ad essere un laboratorio incredibile in cui si incontrano varie personalità , di diverse competenze, che non possono non guardarsi indietro ma che tentano altresì un balzo temporale che va oltre la linearità del passare degli anni.
Questo il senso del profondo studio realizzato sui particolari del Palazzo che ci accompagna nel guardare con occhi diversi i rapporti architettonici di un modello del Quattrocento che torna ad essere luogo di incontro anche delle nuove generazioni, frutto di un lungo lavoro portato avanti in collaborazione con istituti di alta formazione quali l’Isia di Urbino e la Scuola di dottorato in Scienze dell’Architettura di Sapienza, Università di Roma. Molinari ci parla di <<macchina viva che si rigenera>>, introducendo la mostra che si inserisce perfettamente lungo il perimetro delle Sopralogge, affacciate sul cortile d’onore al primo piano, spazio emblematico che può essere percorso, con i suoi quattro lati che ospitano quattro letture diverse, in maniera ininterrotta. Il dialogo con il passato si instaura fuori dagli allestimenti delle sale principali per non intralciare il percorso museale e farci entrare all’interno di una nuova fucina che mostra tutta la sua innovazione, attraverso dispositivi visivi nuovi che trasportano dentro la preziosità dei particolari, li analizzano e li innalzano per trasformarli con il dovuto rispetto, stimolando il visitatore a guardare con maggiore attenzione.
L’impressione è quella di entrare davvero nei laboratori ed incontrare la creatività di chi si è scontrato, per così dire, con i grandi del passato – da Francesco di Giorgio Martini a Giusto di Gand – aprendo nuovi sguardi. Tante voci orchestrate dai curatori, quindi, per raccontare la grandezza dell’impresa che non si è mai fermata, partendo dai quattro lati, risultato della collaborazione con l’Isia.  Il lavoro fotografico delle studentesse e degli studenti, coordinati da Armin Linke per ben cinque anni, mostra le attività più nascoste, da quella amministrativa a quella conservativa, della Galleria Nazionale delle Marche. Le immagini selezionate sono state allestite come in una scenografia che si attraversa in una gincana di flashback in cui scegliere su cosa posare l’attenzione.
Brillante il progetto di Guido Scarabottolo per il secondo lato in cui si stagliano le sue illustrazioni legate alle formelle di Francesco di Giorgio con macchine belliche, un tempo apposte sulla facciata del Palazzo. Un gioco e “un’arte dell’inganno”, la sua, che si diverte a fare il verso a una cosa seria, proponendo congegni irreali che con ironia fanno riflettere. Su un lungo leggio, sotto la luce delle finestre, l’iscrizione del cortile d’onore esce dalla rigidità della pietra attraverso la rilettura degli elementi tipografici, seguita da Radim Pesko e Jonathan Pierini, che trasforma in digitale il carattere lapidario della famosa frase. Il movimento gli ridona vita, dopo secoli, e diviene font contemporaneo.
Non è ferma, non è esclusiva e può essere riproposta ai più. In ultimo, nel quarto lato, Catalogo in catalogo indaga, attraverso appunto la catalogazione portata avanti da Paola Binante insieme alle sue alunne e alunni, alcuni degli elementi del Palazzo urbinate, dai pavimenti alle porte fino ad arrivare ai rosoni del soffitto. Otto i libri in mostra che è un piacere sfogliare per scovare il particolare che viene valorizzato in maniera fluida e narrativa. Agli angoli delle Sopralogge sono presenti approfondimenti di architetti e autori contemporanei – Franco Purini, Sara Marini e Annalisa Metta – che, insieme a Molinari, indagano il monumento nella sua totalità e in relazione con le parti, consentendoci di <<guardare al palazzo come macchina universale e attuale>>, scrive il curatore. Un lavoro approfondito e accurato quindi, che, dall’inizio alla fine, ci riporta alla famosa espressione “una città in forma di palazzo, un palazzo in forma di città ” che risuona nell’aria della città marchigiana.
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