Visitabile fino al 29 settembre 2024, presso il NMNM – Nouveau Musée National de Monaco – Villa Sauber, Pasolini in chiaroscuro è una mostra superba, dedicata alle relazioni iconografiche tra il cinema pasoliniano e l’arte classica e moderna e ai lavori di alcuni artisti contemporanei che ha ispirato. Intellettuale poliedrico, scrittore, poeta, saggista e regista, Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Lido di Ostia, 1975) è stato anche pittore ma il suo successo internazionale è legato soprattutto ai suoi film.
La mostra presenta le opere di Adel Abdessemed, Giulia Andreani, Francis Bacon, Giacomo Balla, Tom Burr, Lodovico Cardi, Adam Chodzko, Pieter Claesz, Clara Cornu, Walter Dahn, Regina Demina, Marlene Dumas, Richard Dumas, Cerith Wyn Evans, Federico Fellini, Jesse A. Fernández, Abel Ferrara, Laurent Fiévet, Alain Fleisher, Claire Fontaine, Giovanni Fontana, Jenny Holzer, William Kentridge, Astrid Klein, Fernand Léger, Stéphane Mandelbaum, Martial, Fabio Mauri, Charles de Meaux, Giorgio Morandi, Dino Pedrali, Ernest Pignon-Ernest, Pontormo, Man Ray, Giuseppe Stampone, Jean-Luc Verna, Francesco Vezzoli, John Waters.
Curato da Guillaume de Sardes, scrittore, fotografo e capo del dipartimento sviluppo del NMNM, in collaborazione con lo scenografo Christophe Martin, il percorso espositivo si disloca lungo i due piani dell’incantevole Villa Sauber, uno degli ultimi gioielli della Belle Époque del Principato di Monaco. Se il piano terra accoglie, tra l’altro, il film Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) e l’installazione Intellettuale (Il Vangelo secondo Matteo di/su Pier Paolo Pasolini, 1975) di Fabio Mauri, le sale del piano superiore sono dedicate alla Posterità e propongono le opere di una ventina di artisti, quali Giulia Andreani, William Kentridge, Marlene Dumas, Dino Pedriali, Claire Fontaine, Jean-Luc Verna o John Waters.
In questa sezione guardano all’assassinio dello scrittore, Ernest Pignon-Ernest con Pasolini assassiné – Si je reviens, Ostia 1 (foto dall’omonima serie di serigrafie, 2015), Giovanni Fontana con Anagramma (2002/2022), un collage realizzato con due copie della prima pagina del quotidiano Paese Sera, che apre con il titolo Pasolini Assassinato, e l’anagramma del cognome che dà ‘lo piasi’. Ci racconta gli ultimi giorni di vita del poeta il film di Abel Ferrara del 2014 interpretato da un bravissimo Willem Dafoe.
Sono diverse le opere realizzate per la mostra come Un vide en chacune de mes intuitions (video, 2023) di Regina Demina che attinge alla poesia e al cinema pasoliniano, presentando una Madonna contemporanea ispirata al ruolo di Margherita Caruso nel Vangelo secondo Matteo (1963-64). Girato in Puglia, come il film, qui Demina rivisita i temi della paura, della solitudine e del sesso.
Cosa resta della Roma di Pasolini? Si chiede Alain Fleischer in La mère fantôme (video, 2023). L’artista francese proietta il ritratto di Anna Magnani lungo le strade, i palazzi e i luoghi delle riprese di Mamma Roma (1962) a sessant’anni di distanza. Charles de Meaux presenta Two voices in the murky light (video, 2024) in cui esplora il rapporto di Pasolini con la pittura, e più ampiamente tra letteratura e cinema. La camera segue un uomo che, passeggiando, legge un libro di Pasolini, conducendoci dalla periferia romana al centro della città, fino all’autoritratto di Artemisia Gentileschi, ossia l’Allegoria della Pittura (1637, Palazzo Barberini). Ciò rimanda a L’Angelo del Bernini nel film Accattone, che è l’unico esempio di barocco nella trilogia romana.
Ripercorrere le relazioni tra il cinema pasoliniano e l’arte figurativa, vuol dire guardare alla pittura di Mantegna, Massaccio, Caravaggio, Pontormo, Rosso Fiorentino, Piero della Francesca, Giotto, Velázquez ma anche di Giorgio Morandi e Francis Bacon. Vale a dire? Il protagonista di Accattone (1961), Franco Citti quando posa con un cappellino rinvia a Ritratto di un giovane uomo del Bronzino (1530, olio su legno), mentre il ragazzo con una cesta di frutta in Mamma Roma (1962) guarda a Fanciullo con canestro di frutta del Caravaggio (1593-94, olio su tela). Nel personaggio di Ettore di Mamma Roma, immobilizzato nel letto di contenzione, rivediamo il Cristo morto (1475-1485) di Andrea Mantegna. Il regista, che in questa sequenza usa il dolly, sorvola il corpo steso e inerme del ragazzo morto in carcere con un’eleganza estrema, dando vita al noto dipinto ma anche a un fatto di cronaca, quello di Marcello Elisei, un giovane detenuto morto nel carcere romano di Regina coeli.
Il confronto tra la grande tradizione pittorica e i film pasoliniani continua in La Ricotta (1963), un mediometraggio sulla morte di Cristo, dove Pasolini si ispira, per due sequenze, alla Deposizione dalla croce (1521, olio su tavola) di Rosso Fiorentino e alla Deposizione (Trasporto di Cristo) (1526, 1528, tempera a uovo su tavola) di Jacopo da Pontormo. Nel mettere in risalto le opere di questi due grandi manieristi fiorentini, il regista sceglie il colore, in una pellicola realizzata in bianco e nero. Francis Bacon, il pittore espressionista, e Pasolini sono uniti da temi come l’alienazione, la solitudine e l’angoscia esistenziale. L’urlo alienato di Head VI (1949) di Bacon dialoga con quello di una disperata speranza del personaggio del padre, Carlo, nel film Teorema (1968), offrendoci un’esperienza cinematografica intensa e metafisica. Le relazioni tra cinema e arte figurativa sono ben più profonde e radicate nella persona curiosa e travolgente che era Pasolini.
Mamma Roma è un lungometraggio dedicato a Roberto Longhi, storico dell’arte italiana del Novecento e suo docente di Storia dell’Arte, che ha provocato nel giovane studente una folgorazione figurativa – nel 2022 è stata presentata a Bologna la mostra Folgorazioni figurative, sui legami tra i capolavori dell’arte medievale e rinascimentale e il cinema di Pasolini – come lui stesso ha dichiarato. Longhi, durante i suoi corsi, proiettava delle diapositive dei grandi classici della pittura italiana, questo continuum di immagini ha suggerito a Pasolini l’idea di inquadratura cinematografica. Le singole inquadrature erano infatti per lui “piccole monadi figurative” restituite per lo più da campi fissi.
In generale, il movimento della camera in Pasolini è per lo più ridotto all’essenziale. La magnifica Anna Magnani in Mamma Roma è riuscita a interpretare battute singole in inquadrature di soli due o tre minuti con un’intensità senza pari, queste venivano poi montate con oculata attenzione, a una a una come un manufatto.
È importante sottolineare che Pasolini prima di girare disegnava ogni inquadratura, che usava poi per fare una verifica visiva e tecnica. La Cinémathèque française possiede due manoscritti, donati dallo stesso Pasolini, che contengono i disegni e le annotazioni per Accattone e Mamma Roma. Questi possono aiutare a comprendere il suo elaborato processo creativo, che dal testo va al disegno e poi al movimento. «Io amo il cinema perché con il cinema resto sempre al livello della realtà. È una specie di ideologia personale, di vitalismo, di amore del vivere dentro le cose, nella vita, nella realtà», Pier Paolo Pasolini (Filmcritica, gennaio-febbraio 1967). Un amore che non si è mai sopito nonostante i processi per film quali Accattone, Mamma Roma, La ricotta, Teorema o Salò per citarne solo alcuni, o gli atti di violenza da parte dell’estrema destra nei suoi riguardi.
Attento osservatore dei cambiamenti sociali, il cinema pasoliniano ritrae il sottoproletariato romano che vive nei sobborghi della capitale, denunciando la povertà e la fame, come la perdita di modelli sociali legati alla ruralità, e sostituiti da quelli forgiati dal potere dei consumi, che lui definisce un nuovo fascismo. «La società odierna è l’unica società che ha dimenticato di essere una società. È un’accozzaglia di individui che non sanno dove stanno andando né da dove vengono, con un presente eterno che non è altro che un’attesa insensata», asserisce P.P. Pasolini. Reazionario, misoneista o antirivoluzionario? Etichettare un intellettuale della statura di Pasolini non ci aiuta certo a capirlo, allora è meglio approfondire le sue idee leggendo gli Scritti corsari, evitando così paragoni con chi usa gli stessi argomenti per fare pura demagogia.
Di seguito una testimonianza della documentarista Cecilia Mangini, scomparsa nel 2021. «Secondo me i Pasolini erano due. Il primo era estremamente aperto, curioso di tutto. Il secondo nasce dalla persecuzione che l’Italia gli fece sperimentare», vedi i 33 processi a suo carico per vilipendio della religione di Stato, reato di oscenità, e via dicendo. Mangini continua asserendo: «Era immensamente gentile, aveva bisogno di essere amato e accolto. Di fronte a questa persecuzione, ha “represso” questa parte di sé. Da lì nasce il secondo Pasolini che è la negazione del primo e che assume, a mio avviso, le posizioni più errate, ad esempio sull’aborto. (…) peggio ancora, ha preso posizione contro il divorzio, che è stata anche una grande battaglia. Ha detto che questo ha reso il matrimonio consumistico», da un incontro con la regista francese Aude Fourel.
Pasolini continua a essere una figura polarizzante ed è apprezzato per la sua critica sociale e politica, la sua audacia artistica e la sua capacità di affrontare temi tabù. C’è chi contesta alcune sue idee o le sue scelte artistiche ma la sua eredità, come uno dei più grandi intellettuali e artisti del XX secolo, rimane intatta e molti lo considerano una fonte di ispirazione e riflessione critica, come l’esposizione Pasolini in chiaroscuro ci conferma abilmente.
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